Aspettare un bambino malato

by Claudia Ravaldi
Johns Hopkins University Press
Johns Hopkins University Press

a cura di Claudia Ravaldi e Daniela Fierro

Questo articolo è l’approfondimento del testo americano “A gift of time” di Amy Kuebelbeck and Deborah L. Davis.

Il testo, scritto da una giornalista ed una psicologa, è un libro chiaro, semplice ed esaustivo sul delicato tema dell’accoglienza ai genitori che aspettano bambini affetti da patologia incurabile e dell’accoglienza al bambino che ha una vita “piccola”.

 

 La vita è un pensiero, un lampo nel buio, una farfalla che si posa su d’un fiore e vola via.?

La vita è un battito di ciglia fra un sole e una luna, un pulsare del cuore, un “Ti amo” sussurrato, un sostare 
sul bordo delle ore, un rincorrere il vento che si dissolve dietro l’orizzonte…?
La vita è un bacio in un giorno di primavera e la sera che ti gela il cuore.?
La vita è l’alba e il tramonto.?
Un fiume che scorre nell’alveo del tempo, a sfociare là dove si rimescola il mondo.
(Marco Ciro Bargerri-Cyrano & Viola D’Acunto)

 

 

Aspettiamo un bambino!

 

“Sarà maschio o femmina?”, “Assomiglierà alla mamma o al papà?”, “Quale nome gli daremo?”  “Cosa farò io con lui? Come sarà essere genitore?” “Come cambierà la nostra vita insieme?”.

L’esperienza dell’attesa di un figlio è una tra le esperienze umane più travolgenti che esistano, sia sul piano fisico che sul piano emotivo e psicologico.

I cambiamenti legati all’attesa sono infatti molteplici, e solitamente ancor prima delle modificazioni fisiche e pratiche, la coppia affronta alcuni importanti cambiamenti psicologici. Nel corso dei primi mesi di gravidanza quando “nulla è visibile all’esterno” ma la coppia “sa” (o meglio dire “sente”), si attivano una serie infinita di proiezioni sia verso il passato che verso il futuro: la coppia “prepara un nido” mentale e fisico per il bambino in arrivo, e si prepara intimamente al nuovo ruolo di genitore.

Mentre accadono tutti questi processi, fondamentali per il nostro adattamento alla nuova condizione di vita e per assicurare la sopravvivenza del nascituro grazie allo sviluppo del legame di attaccamento, la gravidanza prosegue.

Dal punto di vista storico-culturale e antropologico (numerose sono le testimonianze in questo senso provenienti da più culture nel mondo) la gravidanza non è solo trasformazione, ma anche “incognita”, “salto nel buio”, “attesa dell’ignoto”. Non a caso, almeno in occidente, si viene invitati ad essere cauti nel primo trimestre, “perché non si sa mai”, si cerca di trattenere l’entusiasmo almeno fin dopo i test diagnostici invasivi, per poi sciogliere la tensione dopo l’ecografia morfologica, (cioè circa a metà della gravidanza!).

Intorno al bambino in arrivo e alla coppia di genitori, si crea quindi un contesto di cauta vigilanza,  malcelati e malespressi timori e di controlli ripetuti “affinché vada tutto bene”.

 

La diagnosi infausta

E’ in questo tempo ambivalente (andrà tutto bene? sta procedendo tutto bene? sarà sano?) e sospeso (“non mi sento ancora incinta, per ora aspettiamo la morfologica per sapere se va tutto bene” oppure “sono così felice, ho sensazioni così positive!”), che a volte arrivano alle orecchie e ai cuori dei genitori terribili parole che nessuno mai vorrebbe sentirsi dire.

“C’è un problema serio a…” “Purtroppo il cuore non si è formato come avrebbe dovuto” “Manca una parte del diaframma” o ancora “Il risultato dell’amniocentesi ha rilevato un’anomalia incompatibile con la vita”, sono solo alcune delle frasi che molte coppie si sentono dire nel  giorno che aspettavano per ri-conoscere profili, manine, e conferme. Arriva una diagnosi grave e l’idealizzazione del futuro crolla. La notizia è di una tale portata che spesso il genitore resta come sospeso e incredulo, in un vero e proprio stato di shock: tutto troppo devastante e drammatico, per essere accettato e compreso subito.  Tra le strategie automatiche di reazione, spesso la mente rifiuta tout court la realtà, arrivando a negarla “è impossibile, si sono sbagliati, non capiscono niente”.

Oppure ci si chiede “perché”, “perché mio figlio” “cosa ho sbagliato”, in una incessante e sofferta ricerca di spiegazioni.

Si “ripassano” febbrilmente tutte le tappe precedenti della gravidanza e si risale addirittura a prima del concepimento, alla ricerca di possibili errori fatali. Ci avevano detto che conducendo una vita equilibrata e con un’alimentazione sana, e pensando positivo tutto sarebbe andato bene, il nostro piccolo sarebbe nato sano. Malgrado tutto il nostro impegno, la nostra cautela, le scaramanzie, le preghiere, le sensazioni positive, qualcosa è andato male e ci si sente increduli, smarriti, persi, talvolta soli ad affrontare sentimenti di vuoto, a gestire decisioni e difficoltà che da quel momento in poi andranno prese e sostenute.

Affrontare una diagnosi infausta e decidere in conseguenza di questo drammatico evento che corso dare al nostro progetto creativo di coppia e famiglia è un percorso che possiamo fare al meglio solo se ci prendiamo il giusto tempo e scegliamo accanto a noi gli operatori migliori.

Un buon operatore non è chi promette miracoli o ci fa la predica su cosa dovremmo fare o pensare. Un buon operatore fornisce tutte le informazioni utili e possibili affinché noi possiamo capire cosa sta succedendo, capire le conseguenze naturali della malattia che ha colpito nostro figlio e capire come ci poniamo noi rispetto a questo evento. In Europa ci sono buone fonti di riferimento per genitori in attesa di bambini che hanno una malattia grave. CiaoLapo lavora in rete con molte di queste associazioni e con molti medici che si occupano di diagnosi prenatale allo scopo di migliorare la comunicazione, il sostegno e il processo decisionale delle coppie.

 

Aspettare e salutare un bambino “dalla piccola vita”

CiaoLapo onlus non utilizza volutamente il termine “bambino terminale” e men che mai “feto terminale” in questo e in altri articoli. Riteniamo che le parole siano molto importanti, perché veicolo privilegiato di comunicazione; spesso “chiamare una cosa con un nome” finisce per diventare  struttura portante del concetto che si ha di quella cosa. Il nome diviene contenuto, lo caratterizza, lo identifica.

“Bambino terminale” è una definizione rischiosa: con questo aggettivo che dichiara una fine, e proietta spesso falsamente in una dimensione di già accaduto, già predestinato e di assenza di tempo, speranza e possibilità di cure e conforto, mettiamo in ombra il significato della parola “bambino” – “figlio”: se prevale su tutto “terminale” rischiamo di  disinvestire affettivamente sul bambino, che non merita la nostra attenzione (il nostro dolore, la nostra empatia) “perché tanto morirà” “ha il destino segnato” “non c’è più nulla da fare”.

Tutti noi esseri viventi, per il fatto stesso di vivere, siamo anche esseri morenti, ma non per questo meritiamo meno attenzione e meno rispetto (e quindi anche meno cure o affetto) di una montagna o del sole, che nel nostro immaginario sono assai longevi e quindi eterni. Per moltissimi genitori il bambino atteso affetto da una malattia grave rappresenta un dolore indicibile e spaventoso (al punto che spesso si arriva a desiderare che tutto finisca velocemente, perché temiamo di non sopportare oltre), ma anche un amore illimitato, una promessa di futuro che si infrange. In nessun caso, qualunque sia la decisione che i genitori prenderanno sul portare o meno avanti la gravidanza, quel bambino potrà mai dirsi  per quel genitore “terminale” e quindi “già concluso, passato”.

Noi operatori attraverso le nostre parole possiamo aiutare i genitori a conservare ciò che di positivo rimane dopo una diagnosi infausta, oppure contribuire alla distruzione totale di progetti, ricordi, aspettative e vissuti (“ma signora cosa vuole che le dica! se non interrompe, morirà comunque a fine gravidanza!” “non è un vero e proprio bambino, perché non ha il cervello” “ci sono persone che hanno portato avanti la gravidanza con diagnosi ben più gravi della vostra”). Dovremmo chiederci sempre cosa desideriamo comunicare a due genitori spaventati e scioccati e come poterli assistere al meglio. Le parole e le azioni sono parte integrante della cura.

 

A gift of time –  sinossi

 

Gli esami per la diagnosi di patologia

Dal 1980 i test diagnostici diventano routine nella cura prenatale. A test invasivi, oggi noti ai più come “villocentesi” e “amniocentesi”, si aggiungono altri meno invasivi, ma di screening probabilistico, come il “duo test” e la “translucenza nucale”. Il primo attraverso un semplice prelievo di sangue consente di misurare la concentrazione di due sostanze collegate con alterazioni cromosomiche del feto: la Free-Beta HCG e la PAPP-A; il secondo, invece, consiste in un’ecografia che andrà ad analizzare con l’ausilio degli ultrasuoni, l’area che si trova dietro il collo del bambino, il cui livello di accrescimento è direttamente proporzionale al rischio di anomalie cromosomiche e malformazioni congenite (incluse varie forme di cardiopatie). Questi esami combinati tra loro e con l’età materna permettono di stimare la probabilità di rischio di 3 principali anomalie cromosomiche, quali: la trisomia 21 (meglio conosciuta come “Sindrome di Down”), la trisomia 18, e la trisomia 13, ma anche malformazioni cardiache o di altri organi, quali: la spina bifida, l’onfalocele o l’ernia diaframmatica.

I test di screening, spesso sono vissuti come “esami di routine”, e talvolta oltre alla coppia, si recheranno anche nonni o zii per ammirare, tramite ecografia, “la nuova vita”. Le immagini scorrono in una stanza buia, l’emozione è fortissima, ma quando il rischio di anomalie viene comunicato, cambia immediatamente lo scenario e il colore emotivo.

Non tutti i genitori, in seguito alla diagnosi, decideranno di sottoporsi ai test diagnostici sopra descritti, a causa del rischio di abortività correlato, altri, invece, accetteranno il rischio, necessitando di ulteriori delucidazioni che potranno aiutarli nel prendere la decisione ritenuta più opportuna.

Indipendentemente da quando venga data la notizia, la prima reazione è un forte senso di confusione e disorientamento che probabilmente accompagnerà la coppia per giorni. I genitori iniziano a realizzare una nuova realtà, pur non riuscendo ancora ad accettarla.

 

Continuare o interrompere la gravidanza

Dopo la diagnosi, la prima e spesso urgente decisione da prendere è se continuare o meno la gravidanza. L’aborto non può essere effettuato dopo la ventiquattresima settimana, e per alcune coppie il tempo per decidere è così poco che comprendere l’accaduto, accettarlo e progettare un nuovo e diverso futuro è una richiesta insostenibile.

Decidere se continuare o interrompere la gravidanza è una scelta estremamente dolorosa. Può essere d’aiuto parlarne con degli esperti, e cercare chi può fornire sostegno. In questa fase, i genitori tenderanno a raccogliere il maggior numero di informazioni, non si affideranno esclusivamente al proprio medico specialista, ma sentiranno anche delle seconde opinioni, si documenteranno sulla rete, c’è chi si lascerà guidare da familiari ed amici e chi, invece, si affiderà alla religione.

I genitori devono sapere che chiedere informazioni specifiche ed esaurienti è lecito e non va temuto, si può trascrivere e successivamente domandare tutto ciò che passa per la mente. In molti vogliono capire cosa sia successo al loro bambino e perché, a volte è possibile risalire alla causa, altre volte invece le spiegazioni note saranno poche. In ogni caso non sempre i genitori possono disporre di molto tempo per accettare la realtà. Essi vengono posti difronte ad una scelta: terminare la gravidanza o seguire l’evento delle cose. Entrambe le scelte appaiono terrificanti, in quanto la coppia deve affrontare, comunque, l’idea della malattia o della morte del proprio piccolo. Questa è una fase in cui molti genitori si sentono abbandonati ed incompresi. E’ importante che la coppia decida insieme sul da farsi, focalizzandosi sui propri sentimenti. Alcuni, come dicevamo, si affideranno ai consigli dei propri cari, altri decideranno da sé. L’uomo solitamente si preoccupa primariamente dello stato emotivo e fisico della propria compagna, ciò nonostante, non sempre la coppia si orienta verso la medesima decisione, se da una parte il corpo è della donna, dall’altra il figlio è anche dell’uomo. E’ importante in questa fase che la coppia comunichi le proprie emozioni e il proprio dolore e che cerchi di decidere assieme ed il più serenamente possibile.

Alcuni genitori decideranno immediatamente di continuare, altri richiederanno maggior tempo, altri ancora potranno decidere di abortire: mantenere la decisione presa può essere un altro ulteriore momento di difficoltà. In queste situazioni le emozioni in gioco sono molto intense, così come la portata del progetto e degli esiti, ed è spesso comune una decisa ambivalenza.

Un adeguato supporto psicologico può fare la differenza, può aiutare i genitori ad esprimersi e riflettere su cosa fare quando si decide di continuare la gravidanza, imparando, nei casi di malattie terminali, ad abbracciare l’idea della qualità della vita, meditando su come renderla migliore e proficua, su come amare e accogliere il proprio figlio, abbandonando, invece, l’idea del tempo di vita.

Nel caso in cui, in seguito alla diagnosi di malformazioni gravi o di scarsissime possibilità di vita alla nascita la scelta sia quella di interrompere la gravidanza, le strade da seguire sono diverse a seconda dell’età gestazionale:

-Prima della tredicesima settimana sarà predisposta l’interruzione volontaria di gravidanza o aborto provocato, che consiste nell’interruzione dello sviluppo dell’embrione o del feto e nella sua rimozione dall’utero della gestante. Può essere provocato per via chirurgica o chimica e comunque in anestesia generale. L’intervento potrebbe essere sostenuto in day hospital e non sarebbe molto invasivo da un punto di vista fisico, mentre intenso sarà il dolore emotivo;

Dopo la tredicesima settimana ed entro la ventiquattresima, l’intervento ossia l’interruzione terapeutica di gravidanza consisterà nell’induzione del parto. Nonostante la donna richieda l’aiuto di farmaci e di terapie arginanti il dolore, la sua coscienza durante il travaglio resterà vigile ed il suo corpo partecipe durante il parto. Un ambiente ospedaliero cinico e non accudente rischia di amplificare i sentimenti di colpa comunemente vissuti in questa circostanza.

Anche se la scelta è stata fatta resta comunque una scelta emotivamente e psicologicamente difficile, E’ importante valutare attentamente le opzioni che si ritengono idonee e lasciarsi guidare da esse.

Nel caso in cui si scelga di continuare la gravidanza, dovremmo dare valore alle cure palliative, un modello di supporto fornito da una equipe di medici specialisti, ostetriche, neonatologi, operatori sociali, educatori infantili, consulenti genetici, pediatri, ecc che perseguono come finalità la qualità della vita, rinforzano il conforto e la dignità della paziente, lasciando che la morte venga vissuta come un evento naturale. Inoltre, quando queste cure si affiancano a trattamenti medici è possibile ottenere benefici per il neonato. In sostanza, si tratterebbe della totale cura del corpo, della mente e dello spirito del bambino, fornendo, in aggiunta, un adeguato supporto alla famiglia. Dette cure possono poi affiancarsi ad interventi medici che potrebbero allungare la vita del piccolo. Non sempre è, però, possibile conoscere a priori quale tra gli interventi medici sarà quello  adatto, dato che non sempre gli specialisti saranno a conoscenza della reale situazione del bambino. L’ansia intensifica notevolmente e con essa molteplici domande: “Come sarà il parto?”, “Il piccolo soffrirà?”, “Quanto sopravvivrà?”, “Quali cure saranno più idonee?”. I genitori che decidono di attendere e seguire l’ordine naturale degli eventi vivono in un’incertezza che può essere logorante se non accompagnata da un sostegno sociale e professionale adeguati. Di seguito elenchiamo alcune strategie di coping (risorse) utili per la coppia:

 

  • Vivi un giorno alla volta: non importa decidere oggi quale intervento terapeutico scegliere, puoi rimandare la decisione ai giorni successivi;
  • Segui il processo nella sua naturalezza: gli eventi seguiranno il corso naturale delle cose;
  • Lascia che sia il tuo bambino a guidarti e non la sua diagnosi.

 

 

Emozioni e Risorse

I genitori a cui viene diagnosticata un’anormalità, si sentiranno soli ed incompresi, come se nessuno potesse realmente capirli. Dopo la diagnosi, le più frequenti emozioni saranno ansia, shock ed incredulità, a cui man mano si accompagneranno un senso di rabbia, frustrazione e colpa. Si amplificherà la preoccupazione per il benessere psichico e fisico del bambino, temendone le sofferenze qualora nascesse vivo e il dolore qualora dovesse nascere già morto. Questa realtà è molto difficile da affrontare, ciò nonostante molti genitori adeguatamente supportati potenziano le loro risorse, e si focalizzano sull’importanza dell’accogliere, amare e aiutare il proprio bambino nel suo tempo di vita.

Alcune risorse che i genitori possono attivare sono:

 

  • Creare delle esperienze speciali con il proprio bambino, memorie e immagini positive: scattargli delle foto, anche se nato morto, abbracciarlo e avere cura di lui. Molti genitori che hanno condiviso questo tipo di esperienze hanno affrontato il lutto più facilmente, rispetto a chi non è riuscito a creare momenti positivi di condivisione col bambino;
  • Prendersi cura di sé: mangiare sano e riposare bene aiuteranno ad avere più energia e tollerare meglio lo stress;
  • Stare in contatto con la natura: il sole e le uscite in campagna o nel bosco sono ottimi rinforzi naturali;
  • Pregare / leggere i testi sacri: se si è religiosi, questo passaggio può essere fonte di ispirazione e sostegno;
  • Parlare con il proprio partner: ascolto e condivisioni gioveranno positivamente;
  • Ricercare un counselor o uno psicologo esperto di lutto perinatale: parlare ed esprimersi sono ottimi rinforzi;
  • Condividere le esperienze con amici e parenti, non temere di esprimere i propri sentimenti anche se non tutti li capiranno;
  • Prendersi il tempo di cui si necessita: il lutto si elabora dai 6 mesi ai 3 anni;
  • Dare un nome al proprio bambino: anche se non sopravvivrà alla nascita, potere chiamare il proprio figlio con il suo nome e sentire gli altri farlo, gratificherà e darà rispetto alla sua breve vita.

 

 

Comunicare con gli altri

Sarà difficile, in un primo momento, ancora scioccati ed increduli, comunicare agli altri ciò che sta avvenendo, trovare le parole giuste quando tutto è sbagliato. Col passare del tempo, si riuscirà a fronteggiare meglio la realtà e spiegare l’accaduto alle persone care. Non sempre, però, è facile aprirsi ed alcune coppie decideranno di comunicare la situazione e la conseguente decisione tramite lettere o email.

Diversi genitori trovano utile descrivere le loro giornate su dei siti web, condividendo con altri che a loro volta lasceranno dei messaggi di affetto e supporto, i quali potranno essere letti in qualsiasi momento del giorno o della notte, per sentirsi meno soli. Anche la condivisione con genitori che hanno affrontato la medesima esperienza traumatica può aiutare a sentirsi meno abbandonati.  (Nel blog di CiaoLapo ad esempio c’è un’apposita sezione, chiamata “stelle cadenti”, che raccoglie le esperienze dei genitori che hanno ricevuto una diagnosi prenatale infausta).

Non sempre amici e parenti comprenderanno le nostre scelte; se si è fortunati, famiglie ed amici supporteranno, anche quando non comprenderanno la decisione. Capiranno che è importante parlare di ciò che è accaduto e si focalizzeranno sui bisogni della coppia; altri, invece, sceglieranno la strada del silenzio perché non sanno cosa sia meglio fare, o semplicemente non sanno come farlo, anche se l’amore che provano è immenso; altri ancora, potranno criticare la scelta di non abortire, perché credono (ingenuamente) che così ci si possa legare troppo al bambino e soffrire ulteriormente. Spesso, gli stessi nonni troveranno difficile riuscire ad esprimersi, hanno perso un nipote amato e vedono soffrire i propri figli. Non sapranno cosa dire anche se accettano la decisione, altri invece non sapranno cosa dire magari perché la disapprovano. Nonni molto religiosi potrebbero essere a priori contro l’aborto e ciò potrebbe rendere difficile le future relazioni. E’ bene ricordarsi, comunque, che nella maggior parte dei casi i loro intenti sono buoni.

 

Aspettando il parto

E’ importante riflettere su cosa fare nel caso in cui il proprio bambino nasca vivo. Al di là degli interventi medici sopra accennati, sarà importante pianificare la qualità del tempo da spendere con il proprio bambino. Si può riflettere sullo scegliere un parto naturale o un cesareo, in accordo con il ginecologo e con lo stato di salute della madre. Inoltre, sarebbe opportuno far presente al dottore la volontà di rimanere il più possibile vigile e sveglia per potersi godere il suo bambino. Il padre, dal canto suo, potrà tagliare il cordone ombelicale e insieme  alla compagna costruire dei momenti speciali con il figlio: abbracciarlo, curarlo, nutrirlo con l’allattamento al seno o tramite bottiglia, scattargli delle foto e costruire delle memorie da conservare nel tempo, farlo conoscere ai propri parenti ed amici. Se si è cattolici si può decidere di battezzare o meno il bambino, così come dovrebbe essere permesso svolgere i rituali della propria religione. Alcuni genitori desiderano pianificare tutto prima, per non ritrovarsi a dover prendere decisioni dopo la morte del bambino, altri trovano crudele l’idea di pianificare la vita e la morte del proprio piccolo e spesso decidono di focalizzarsi sul tempo di vita finché il bambino è con loro e di rimandare le altre scelte a dopo la morte.

Nel momento in cui il bambino viene al mondo, i genitori saranno felici ed entusiasti, nonostante la diagnosi. E’ il loro bambino e lo stanno ammirando per la prima volta! Alcuni genitori, a causa di malformazioni fisiche del neonato, temono l’aspetto che avrà alla nascita. E’ utile  aiutarli a un contatto graduale col bambino e come operatori è importante sapere che ai loro occhi il loro bambino sarà comunque bellissimo.

Le emozioni che si proveranno nel vedere il bambino non vanno temute anche se discordanti: è comprensibile sentirsi felici ed al contempo tristi.

La tristezza, la paura ed il nervosismo che anticipano il momento della morte richiedono supporto ed empatia da parte del personale curante e dei parenti. Può essere utile in questa fase avere il supporto di adeguate figure professionali, parenti ed amici. La morte, spesso sopraggiunge in un modo diverso da quello che ci si era immaginati, è importante ricordarsi che il bambino potrà avere delle difficoltà respiratorie, il che non vuol dire necessariamente che stia soffrendo, spesso è più la percezione dei genitori che la realtà. Crisi respiratorie fanno parte del normale procedimento dello spegnersi, se si sente che il piccolo sta soffrendo troppo è sempre  possibile richiedere un parere del medico o dell’infermiere neonatale. E’ opportuno ricordare che la cosa più importante che si possa fare è stringere, amare e cullare il bambino nella sua fase terminale. Dopo la morte, è normale continuare a stringerlo e prendersi cura di lui. Piano piano il colore della sua pelle cambierà, come del resto la sua temperatura corporea. Osservare il proprio bambino, anche in questo momento, è l’ultima occasione per costruire delle memorie. Alcuni genitori decideranno di fotografare il proprio bambino anche se è morto:  non c’è nulla di macabro in questo, è il proprio figlio e si è liberi di creare tutti i ricordi che un giorno potrebbero rivelarsi per noi molto importanti. Creare dei ricordi, scattare delle foto, conservare quelle delle ecografie o il braccialetto della nascita, conservare i bigliettini ricevuti da amici e  parenti, significa molto per i genitori. L’idea di scattare delle foto, può essere molto significativa anche per chi non è riuscito a vedere i propri figli vivi alla nascita perché non sopravvissuti ad essa. E’ opportuno ricordare che, nonostante l’alta emotività di quei momenti, quando il nostro bambino è tra le nostre braccia si ha, comunque la possibilità di baciarlo, accarezzarlo, dondolarlo ed amarlo: questa opportunità non dovrebbe mai essere negata, e se i genitori lo desiderano, dovrebbe essere estesa anche ai familiari e ai fratellini.

L’ultimo addio è quello del funerale, sentimenti di dolore, gratitudine, sollievo, intorpidimento, distanza e consapevolezza possono essere tutti presenti contemporaneamente. Non bisogna lasciarsi sorprendere o spaventare da queste emozioni, fanno parte dell’“ottovolante” del lutto bisogna provare rispetto ed empatia per noi stessi e per ciò che stiamo affrontando.

Sarà sempre utile per i genitori ridiscutere a tempo debito insieme ai medici la patologia del figlio, e gli eventuali accertamenti da compiere. Qualora sia stata fatta l’autopsia, in base al risultato, sarà importante prendere appuntamento con degli specialisti con cui discutere eventuali implicazioni per gravidanze successive.

 

I giorni a venire

Col susseguirsi dei giorni, la varietà delle emozioni vissute sembrerà quasi moltiplicarsi. Per la donna, è opportuno ricordare che:

 

  • Qualche giorno dopo il parto, anche in assenza del tuo bambino, il tuo seno sarà predisposto per nutrirlo. Ciò potrebbe farti sentire arrabbiata e sovrastata dal dolore;
  • A distanza di circa 6 settimane sarebbe opportuno fare la visita di controllo ginecologica, con esami pelvici e checkup generali;
  • Le emozioni saranno sempre più contrastanti (colpa, senso di vuoto, rabbia, vulnerabilità) impara a dargli un nome, a leggerne l’intensità e attribuirgli un senso;
  • Ricorda di parlare con i tuoi figli maggiori dell’accaduto, loro comprendono come ti senti, capiscono che qualcosa non va, non serve mentire loro. I bambini tendono a credere che qualsiasi cosa accada sia colpa loro. E’ importante rassicurarli, spiegargli che mamma e papà sono tristi perché gli manca il fratellino o la sorellina, ma che presto staranno meglio e loro non hanno alcuna colpa; probabilmente diventerete iperprotettivi nei loro confronti e meno pazienti, ciò potrà confonderli, ma il tempo, l’onestà e la sicurezza del vostro amore rafforzerà tutti voi;
  • Condividi le emozioni con il tuo partner, soffre come te e sarebbe utile ricordargli che non deve necessariamente essere la tua figura di sostegno, è giusto che anche lui dia voce al suo dolore. Condividere la sofferenza è una delle cose più ardue. Non aumentate le distanze, ma confortatevi l’un l’altro;
  • Prenditi il tuo tempo: non c’è un arco stabilito a priori per riprendersi dal lutto, c’è chi impiega 6 mesi e chi 3 anni per avvicinarsi nuovamente alla sensazione di serenità;
  • Ricerca il sostegno: affidatevi a figure professionali che siano in grado di accogliervi. Gruppi di autoaiuto e condivisione sono esperienze importanti per la coppia. Chiedere aiuto non è un segnale di debolezza. Col passare del tempo molti genitori troveranno utile entrare in contatto con chi sta attraversando la loro stessa pena, per tendergli una mano, ascoltarli e supportarli;
  • Rifletti con calma e consapevolezza su quando e come progettare una successiva gravidanza: nessun bambino sostituirà quello che hai perso, e spesso la consapevolezza dell’accaduto può rendere tutto molto doloroso e faticoso. Valuta l’idea solo quando vi sentirete davvero pronti per essa e avrete le energie giuste per affrontare nove mesi di gravidanza e il post partum con un buon livello di serenità. La decisione di una nuova gravidanza dopo una patologia grave del bambino si accompagna a preoccupazioni ed ansie. Un buon counseling genetico potrà essere utile per fornire tutte le informazioni. E’ importante ricordare che nessuna consulenza e nessun medico potranno mai assicurarci al 100% la salute o la malattia di un figlio, ma avere informazioni su cui riflettere e margini di probabilità da considerare può essere un primo passo. Nel caso in cui durante la successiva gravidanza tu provassi uno stato di frequente e intensa ansia e apprensione, pensassi in modo intenso e doloroso alla gravidanza precedente e avessi numerosi timori che limitano la tua capacità di goderti la relazione con il tuo bambino potrebbe essere molto utile parlarne con il partner con lo psicologo formato e con gli altri genitori che hanno affrontato una gravidanza successiva.

 

 

Per l’uomo è difficile esprimere i sentimenti sull’accaduto, ancora più che per una donna. L’uomo spesso si ritrova a supportare la propria partner e a dover continuare, pur non volendo, la routine quotidiana. Difficilmente condividerà le sue sofferenze con un familiare o con un caro amico e il ritorno al lavoro non renderà la situazione più facile. Difficoltà a concentrarsi, motivazione scarsa e fatica a portare a termine i propri compiti, si riscontrano abbastanza frequentemente.

In Inghilterra vi sono servizi di counseling offerti sul luogo di lavoro a cui sarebbe utile rivolgersi; in Italia vi sono associazioni specifiche che offrono questo tipo di servizio. La richiesta d’aiuto non va mai rimandata o negata: chiedere aiuto è segno di responsabilità e intelligenza e in nessun caso può essere considerato segno di debolezza.

Per quanto riguarda la donna, il ritorno a lavoro può essere vissuto in modo diverso, c’è chi desidera buttarsi a capofitto nelle cose da fare nel tentativo di distrarsi, e chi, d’altro canto, deve sforzarsi per rientrare nella normale routine lavorativa e giornaliera. Sarà difficile dovere spiegare ai colleghi l’accaduto e potrebbe essere utile chiedere ad una persona cara di farlo per te. Non sarà facile, ma non pretendere troppo, affronta un giorno alla volta e affidati ai servizi di counseling offerti dal tuo territorio.

 

Riflettiamo sul Supporto

I genitori che hanno usufruito di supporti specialistici (counseling, cure palliative) esprimono apprezzamento e gratitudine. I genitori che, invece, non hanno ricevuto dette cure o, comunque, un adeguato supporto nel pianificare la nascita, e che sono venuti a conoscenza di questa possibilità solo in momenti successivi, si sentono di solito presi in giro, arrabbiati, come se le cure ad essi destinati fossero stati di qualità inferiore.

Col passare del tempo, è utile, per sentirsi meglio, ripensare alle memorie positive costruite con il proprio figlio, trovando un significato nell’onorarne la memoria.

Col passare del tempo ti renderai conto che la vita del tuo bambino ha avuto un forte, positivo e duraturo effetto su di te.

Sarai sempre genitore della vita nata dentro di te e nessun destino potrà mai distruggere il legame che vi ha unito.

Una buona condivisione dalla diagnosi in poi di tutta l’esperienza con personale formato e accogliente e con il supporto del partner e della famiglia, indipendentemente dalla scelta compiuta, dal “tempo di vita” del bambino e dal fatto che la sua vita sia stata solo in utero o anche fuori dalla pancia rendono questo lutto un saluto se pur doloroso e non un abisso.

 

Bibliografia

Amy Kuebelbeck, Deborah L. Davis, A Gift of Time, “The Johns Hopkins University Press, Baltimore”, 2011.

Joanie Dimavicius, Helen Statham, ARC (Antenatal Results & Choices), “Manson Group, Great Britain”

CiaoLapo onlus: Stelle cadenti: affrontare il lutto dopo l’interruzione terapeutica di gravidanza http://goo.gl/qEVA1

http://www.anencephalie-info.org/e/anouk.php

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