Il lutto perinatale non è depressione post-partum, ma può diventarlo. Cosa è importante sapere.

by Claudia Ravaldi

“La depressione è un’epidemia di portata mondiale. Nel 2020 secondo le stime dell’OMS la depressione sarà la più diffusa malattia del pianeta. Personalmente credo che la maggior parte delle depressioni abbiano le sue radici nella solitudine, ma la comunità medica preferisce parlare di depressione piuttosto che di solitudine. È più facile liberarci del problema dando una diagnosi e una scatola di farmaci.” Patch Adams

 

Patch Adams ha pronunciato queste parole nel 2006, durante una conferenza che ha generato numerose polemiche e proteste da parte delle associazioni dei malati e dei medici specialisti. Se penso a Patch Adams e alla sua storia rutilante, di individuo prima e di medico poi, queste parole mi sembrano strane o improprie in bocca a lui, conosciuto ai più come il medico rivoluzionario nel suo approccio alle patologie dell’infanzia e noto per l’attenzione al malato, al suo benessere globale, e al suo buonumore. Le sue parole, ancora oggi attuali, sono lo specchio delle grandi contraddizioni culturali in cui viviamo e della relativa ignoranza con cui l’opinione pubblica e una buona fetta di operatori della salute si avvicinano ai temi correlati alla psiche, al suo funzionamento, ai suoi disturbi, alla prevenzione e alla cura dei più frequenti disagi mentali.

Questo discorso, inoltre, seppur provocatorio, mette in luce un’altra grave e diffusa tendenza dei nostri giorni, rappresentata dal ricorso inappropriato ai farmaci psichiatrici, nati per contrastare le malattie psichiatriche dagli esiti infausti, anche quando non strettamente necessari.

Trovo che il lutto, incluso il lutto perinatale, sia un ottimo esempio di problema generalmente “ignorato” nella sua complessità: in molti casi non si offre alcun supporto per il lutto in se stesso, si aspetta che passi, o si incita a “superarlo” velocemente, in alcuni casi si  “sovratratta” con i farmaci, per “tirarsi un pò su”, più spesso viene “scambiato” per depressione (maggiore o post partum che sia), a causa di alcune dinamiche e caratteristiche del lutto che ricordano i disturbi dell’umore: va ricordato che la depressione maggiore e la depressione post partum hanno specifiche caratteristiche e sono  malattie importanti e gravi che vanno riconosciute velocemente e altrettanto velocemente trattate. Il lutto e la depressione in alcuni casi possono coesistere, ma non è la norma di presentazione fisiologica del lutto.

 E’ dunque molto importante capire di cosa stiamo parlando, quando parliamo di depressione, di lutto, di fisiologia o di malattia.

E’ molto importante capire con chi stiamo parlando, quando il nostro interlocutore si presenta con uno o più segni o sintomi, che potrebbero essere pertinenti al lutto o alla depressione o a tutte e due. 

Osservare a fondo il problema e avere un bel bagaglio teorico in nostro supporto è fondamentale, per evitare di sottotrattare o di sovratrattare il problema, con le conseguenze che poi tutti conosciamo.

A proposito di generalizzazione:

direste mai a una persona con il raffreddore che ha sicuramente una polmonite in stadio iniziale, solo perchè non respira bene con il naso?

o ad un’anziana signora con un’unghia del piede incarnita per via di un paio di scarpe troppo scomode che dovrà amputare il dito per una grave cancrena, che ancora non si vede, ma che arriverà sicuramente?

No. 

Non lo direste, per il semplice fatto che, valutando tutti i segni e tutti i sintomi presenti con i mezzi a vostra disposizione, sapreste con sufficiente certezza che tra raffreddore e polmonite c’è un abisso, così come tra unghia incarnita e cancrena massiva.

Quindi, solo pochi di voi (molto pochi, spero), penserebbero ad un’emergenza in atto di fronte a un raffreddore o a un’unghia incarnita, suggerendo antibiotici endovena, polmone d’acciaio o amputazione preventiva del piede.

Molti di voi (la totalità, spero) farebbero piuttosto ciò che il buon senso (medico, e più in generale umano e sociale) suggerisce in casi come questo: si prenderebbero cura di quel naso congestionato, o di quell’unghia dolorante, con piccoli gesti quotidiani, con pazienza e con disponibilità a seguire il decorso e a valutare gli eventuali cambiamenti, in meglio o in peggio, in modo attento e tempestivo, fino ad una risoluzione, totale o parziale del sintomo. 

Di fronte a un problema di salute (fisica o psichica che sia, sempre di salute stiamo parlando, ammesso che ancora oggi si debba fare questa distinzione ingiusta ed umiliante tra corpo e mente, tra fegato e cervello) è molto importante valutare con attenzione le eventuali cause, capire se e come possono essere rimosse, e ipotizzare una terapia, adeguata al caso e all’entità dei sintomi.

Per fare questo è importante disporre di tempo, per valutare insieme alla persona colpita il suo problema, stabilire un’ipotesi di cura, e osservare il decorso. Soprattutto se parliamo di lutto, che non è una malattia, come non lo sono la menopausa o la gravidanza, ma può diventare malattia, fungendo da fattore predisponente, l’osservazione del decorso e la conoscenza approfondite del problema sono essenziali.

L’osservazione di un fenomeno, qualunque esso sia, prevede quindi la nostra presenza attiva e personalizzata.

Prevede un attento monitoraggio, prevede una buona preparazione di partenza (è importante che l’osservatore sappia cosa sta osservando e cosa eventualmente può aspettarsi e quindi che conosca a fondo il problema in oggetto), prevede l’umiltà del confronto (sono umile se valuto il problema nella sua complessità, se inquadro quel determinato paziente nel suo determinato contesto, non sono umile se di fronte al paziente e al suo problema indago in modo parziale solo ciò che mi fa comodo per arrivare velocemente a una diagnosi e a una prescrizione).

Se si tratta di osservare una persona con un problema in atto e il suo bagaglio esperienziale, fatto di vissuti a volte drammatici, come sono drammatici gli eventi luttuosi o le malattie mentali o fisiche invalidanti, l’osservazione prevede anche l’impegno di “prendere in carico” in modo attivo la parte del problema che può essere di nostra competenza come operatori  e offrire sostegno in modo globale alla persona, offrendole un rimedio, quando possibile, o un’indicazione per migliorare la situazione.

Lo stigma sociale nei confronti delle malattie mentali e il tabù occidentale della morte contribuiscono alla confusione intorno a certi tipi di sofferenze. Sappiamo poco di depressione come malattia, sappiamo poco di emozioni e di gestione delle emozioni negative, sappiamo poco di lutto e di elaborazione fisiologica del lutto. 

Spesso, usiamo parole importanti in modo arbitrario, generalizziamo concetti che invece andrebbero valutati nella loro unicità, e “confondiamo” tra loro esperienze di vita molti diverse. Nel frattempo, a causa di questi equivoci psicosociali e culturali, le persone soffrono di più, e proprio nel momento di maggior bisogno, non trovano un osservatore attento che fornisca loro le chiavi di lettura sul problema e le informazioni necessarie per capire come affrontarlo.

Si può essere tristi, senza essere depressi.

Si può essere in lutto, senza essere depressi.

Si può essere soli, senza essere depressi.

Si può essere depressi, senza essere nè tristi, nè in lutto, nè soli.

Si può essere in lutto e essere soli. E questa combinazione, è una combinazione particolarmente a rischio per sviluppare depressione.

Un recente articolo che comparirà a fine mese in extenso sulla rivista americana di epidemiologia pediatrica e perinatale sottolinea la presenza di un’associazione tra morte in utero e sintomi depressivi tra i sei mesi e i tre anni dopo la perdita. Questa associazione, già osservata in altri studi anche in donne che nel frattempo avevano avuto gravidanze successive con buon esito, merita di essere approfondita. Merita di essere approfondito lo strumento con cui si indaga la presenza di depressione post-natale, che a mio avviso non si confà al sottogruppo delle donne colpite da perdita. Merita di essere contestualizzata la differenza tra “Lutto” e depressione. Ancora una volta, è fondamentale capire di cosa stiamo parlando, cosa stiamo cercando e chiederci se, prendersi cura in maniera appropriata di un lutto subito dopo il lutto potrebbe permetterci di evitare l’epidemia di depressione materna che gli studi ci indicano con crescente preoccupazione. 

“ogni lutto è una ferita, e le ferite si sa, guariscono, a patto di essere state aperte” P. Racamier.

 

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