Caro Babbo Natale, riportami mio fratello

by Claudia Ravaldi

Simone ha cinque anni, il visetto tondo e gli occhi nocciola.

Simone ama giocare con le macchinine, andare alla scuola materna dalla maestra Anna, disegnare dinosauri.

Simone adora andare al parco con mamma e papà. Vorrebbe tanto tornare. Ma non osa chiederlo. Non adesso. Non ora che le cose sono diventate così strane.

Simone passa davanti all’ingresso principale del parco per andare a scuola, e butta un occhio curioso, un pò in tralice, in modo che mamma non si accorga.

Chissà se hanno aggiustato la papera a dondolo, e il castello con lo scivolo a cavatappi. Si chiede.

Mamma, ogni volta, proprio lì davanti, accelera il passo e lo tira per il braccio.

“Simone sbrigati che facciamo tardi”.

Mamma guarda in terra, mentre parla. Si guarda i piedi.

Le parole escono tutte secche e ferme. 

Mamma prima parlava tondo e morbido.

 

Simone butta un saluto con l’altra mano, quella non tirata dalla mamma, al parco, a tutti i suoi alberi maestosi, e a tutte le sue giostre, alle foglie cadute e quelle ancora da cadere. Quanto vorrebbe tornare. 

Simone ricorda.

Era bellissimo, il sabato mattina, tutti insieme, in mezzo a decine di altri bambini e nonni e mamme e papà e tate, correre-saltare-andare sull’altalena – fare gli scivoli a perdifiato.

Era bellissimo, perchè sapeva che dopo ogni corsa – scivolata – tuffo dallo scivolo poteva girarsi verso mamma, e nutrirsi del suo sguardo caldo, e del suo sorriso felice.

Proprio grazie a quello sguardo, e a quel sorriso, Simone a Giugno aveva imparato ad andare in bicicletta senza le ruotine, accompagnato dal papà e dagli occhi di mamma.

Proprio con quegli occhi mamma e papà gli avevano annunciato, poco prima, che a inizio Novembre sarebbe arrivato un fratellino. 

Simone ricorda bene ancora oggi la sensazione di calore dentro lo stomaco e nelle orecchie, e la curva del sorriso impennarsi a mille in quel preciso momento.

Il momento del fratellino.

Ricorda di avere sbirciato la pancia della mamma, e di avere appena allungato una mano, direzione ombelico, a mò di saluto.

Da quel giorno, tutti i giorni sono stati “i giorni prima della nascita del fratellino”.

Una specie di conto alla rovescia molto speciale, per tutta la famiglia e per tutti gli amici.

Speciale anche per Simone, impegnato in un personale conto alla rovescia per il passaggio dallo stato di “figlio unico”  a quello di “fratello maggiore”.

 

Una mattina piovigginosa di metà Ottobre, sventolando un foglio bianco e due pennarelli, Simone ha voluto iniziare a scrivere la letterina di Babbo Natale.

In largo anticipo, così da essere sicuro di non dimenticare nulla.

“Vorrei chiedere a Babbo Natale  anche alcuni regali per il fratellino” – dice con aria tra il serio e il faceto.

 “Bravissimo il mio Simone!” –  dice mamma, sorridendo- hai già pensato cosa chiedere?”

“Due dinosauri per me, e uno piccolo per lui, però morbido, che sennò si buca con la coda.”

“Mi sembra un’ottima idea! Ti aiuto a scrivere” dice il papà, prendendo la mano di Simone nella sua.

Quella mattina Simone ha appeso la letterina sul frigo con un magnete a forma di anchilosauro.

“Sarà bellissimo scartare i regali di Babbo Natale, tutti insieme!” ricorda di avere pensato Simone, calzando cappello e sciarpa per andare al parco. Dopo una settimana, aveva finalmente smesso di piovere.

Simone ricorda di essere andato al parco con i nonni quella mattina, anche con il fango e mille pozzanghere, perchè mamma e papà dovevano andare a fare una visita al fratellino.

Simone non sapeva che quel giorno sarebbe stato l’ultimo giorno al parco.

Non sapeva che mentre saltellava tra le pozzanghere ridendo a crepapelle tra i rimproveri del nonno che non si inzaccherasse troppo, il fratellino si stava ammalando.

Ancora oggi non sa, cosa sia successo veramente. Ha provato a chiedere, ma poi ha lasciato perdere. 

La mamma è tornata, senza pancia, senza fratellino e senza faccia.

O meglio, la faccia c’è ancora, ma deve essere quella di un’ altra persona, che somiglia molto alla mamma, solo diversa. 

Papà è tornato e non sta fermo un minuto, fa battute a raffica e stringe forte Simone senza guardarlo.  Gli dice che lui è il suo campione e che insieme sono fortissimi.

Simone non lo sa se è forte, vorrebbe solo tornare al parco tutti e quattro come prima della pioggia.

Vorrebbe che il suo fratellino tornasse, senza malattie. 

Vorrebbe portarlo sulla giostra da piccolissimi, quella tonda sospesa, che fa sempre ridere il fratellino di Luca, e tutti i neonati.

Non ha nemmeno capito tanto bene dove è andato il fratellino. C’è chi dice su, c’è chi dice giù, c’è chi dice nel cuore, c’è chi dice che si è trasformato in un angelo.

“La mamma non dice niente. Il papà dice che abbiamo un supereroe tutto nostro.  A me andava benissimo avere un fratellino normale. Come tutti quelli dei miei amici” pensa Simone, poco prima di dormire.

 

A volte  Simone pensa che ci sia un posto speciale dove i fratellini e i dinosauri, anche loro estinti, ma certo non dimenticati, giocano insieme, vivi. 

Vorrebbe sapere dal fratellino se è vero veramente che il brontosauro ha il collo lunghissimo e la coda pure. E se il velociraptor è davvero stramegaveloce come dicono, oppure è un’invenzione.

 

La letterina per Babbo Natale è ancora lì, appesa al frigo. Nessuno l’ha più toccata, da quel giorno. 

Simone, che nel frattempo ha imparato a scrivere da solo in stampatello, cancella il lungo elenco fatto con papà, e aggiunge: per quest’anno vorrei solo mio fratello. Grazie, Simone.

 

Quando  in famiglia muore un bambino atteso l’esperienza è talmente dolorosa da essere per molti “impensabile” e inenarrabile. Talmente forte da non potere essere detta. Se in famiglia ci sono altri bambini, questa difficoltà a parlare dell’accaduto si fa ancora più evidente: in molti casi nessuno sa cosa dire, e nessuno si dà pena di trovare parole adatte (al bambino, ai genitori, alla loro storia familiare precedente). Spesso si preferisce tacere, nascondere l’accaduto o minimizzarne l’impatto utilizzando frasi come “Non ti preoccupare adesso la mamma te ne fa un altro”, “Sta meglio là dove è ora” “Il fratellino era un angelo e il Signore se l’è preso” etc..

Frasi di questo genere, che risultano tra l’altro poco utili e talvolta gravemente offensive anche per i genitori possono essere addirittura dannose per gli altri bambini della famiglia, che, spesso in maniera autonoma dagli adulti, “lavorano” sull’evento subito e lo interpretano come possono, con gli strumenti che hanno e a seconda della loro età.

Quando muore un fratellino i bambini, anche quelli piccoli, si accorgono che qualcosa è cambiato, in primo luogo perché cambia l’atteggiamento degli adulti, cambiano alcune abitudini, compaiono frequentemente espressioni ed emozioni legate al dolore, alla tristezza, al lutto vero e proprio, con tutte le sue complesse sfaccettature.

I fratelli maggiori possono reagire principalmente in due modi, a seconda della loro età e di altre variabili personali e familiari. Non c’è una reazione giusta o una sbagliata, è molto importante accogliere le reazioni al lutto dei bambini senza giudicarle o volerle correggere. Il lutto è infatti un evento molto critico, che se ben affrontato in famiglia può dare ai bambini l’occasione di fare un percorso non solo di dolore ma anche di crescita e di resilienza.

Può capitare che un bambino inizi a chiedere con insistenza dove è andata la pancia o quando torna il fratellino, anche se nessuno ha spiegato loro l’accaduto e tutti hanno cercato di assumere espressioni (fintamente) serene e rilassate (“per il bene del bambino, dimostratevi sereni”) che servono a ben poco, se non a confondere le idee in un momento già altamente stressante di suo.

Oppure, può tacere e fingere indifferenza, aspettando che siano gli adulti a dare spiegazioni. Questo avviene solitamente quando il bambino sente che l’accaduto è “troppo grosso” da elaborare subito, per lui stesso, o per i suoi genitori. Alcuni bambini si astengono dal chiedere perchè temono di essere responsabili delle reazioni di dolore, del tutto normali, delle persone in lutto.

Altri, invece, possono pensare di essere in qualche modo responsabili dell’accaduto, e questa condizione si associa ad un elevato stress e sofferenza interiore.

Indipendentemente dalla reazione del vostro bambino (o dei vostri bimbi, se sono più di uno) è importante che i bambini si sentano accolti e parte della famiglia e dei suoi movimenti attraverso il lutto, e che sentano rispettati i loro limiti (d’età, cognitivi, emotivi). Con le giuste parole e il giusto tempo, ogni bambino può elaborare un lutto senza troppa sofferenza, oltre la normale sofferenza legata alla perdita e alle sue conseguenze in famiglia.

Frequentemente invece gli adulti pensano che i bambini non siano in grado di capire la morte o di affrontare l’evento senza subirne conseguenze gravissime, e per un eccesso di protezione capita spesso che i bambini vengano lasciati “fuori” dal lutto e tenuti lontano. In realtà i bambini possono avvicinarsi con sorprendente disinvoltura e chiarezza al tema della nascita e della morte, e se si utilizzano strumenti adeguati all’età, possono comprendere l’evento nel modo meno traumatico possibile per loro. Ciò che spaventa di più i bambini è l’ambiguità che gli adulti hanno nell’affrontare l’argomento morte: siccome gli adulti non parlano apertamente di morte, spesso ognuno dice la sua ai bambini, e capita che i bambini abbiano più versioni di come sono andate le cose, e ricevano spiegazioni in contrasto tra loro, che, insieme all’atmosfera strana che c’è in casa e agli inevitabili cambiamenti di abitudine (ad esempio legata ad un lungo ricovero in terapia intensiva, ad un ospedalizzazione precoce della mamma, ad una morte in utero o in culla) amplificano il senso di confusione e smarrimento.

Ricevere ( o ascoltare) risposte elusive o confondenti, tipo “è stato un bene per lui, perché sarebbe stato un disgraziato” oppure “adesso è tra le braccia del Signore, che chiama a se i bambini migliori” o ancora “il fratellino è andato via perché è andato in un’altra casa” “le pance delle mamme sono magiche e delle volte spariscono, ma poi ricrescono” può amplificare il senso di smarrimento e di difficoltà che i bambini hanno quando si trovano di fronte a tanti cambiamenti in poco tempo.

I bambini dovrebbero sentirsi liberi di chiedere e ottenere risposte coerenti e semplici a domande come “perché la mamma è triste”, “dove è il fratellino, quando ritorna, perché è morto”, “cosa succede alle persone morte”,. Se la famiglia non riesce a affrontare l’argomento e utilizza frasi confondenti, i bambini in molti casi (soprattutto dai tre anni in poi) finiscono per addossarsi la colpa di quanto è accaduto, temono che succederà anche a loro, oppure che i genitori potranno essi stessi scomparire nel nulla. In alcuni casi i bambini reagiscono a tutta questa paura perdendo alcune loro capacità (ad esempio andare soli in bagno, o dormire senza pannolino, oppure andare a scuola con il pulmino) e richiedono con insistenza l’attenzione dei genitori, mentre in altri casi, soprattutto quando i bambini sono in età scolare, possono assumersi loro la cura dei genitori, diventando seri, precisi e “adulti”.

Un dialogo semplice e lineare sulla morte del fratellino o della sorellina, la condivisione delle emozioni tipiche del lutto, la spiegazione in termini comprensibili di cosa accade quando si muore possono fare la differenza e rappresentano un’inestimabile risorsa per una crescita emotiva e psichica sana, laddove le bugie e i segreti (tipo: non era vero che la mamma aspettava una sorellina, era uno scherzo, nella pancia non c’era nessuno) o i ricatti (non parlare del fratellino che fai stare male la mamma) possono provocare disagio psichico sia nell’infanzia che in età adolescenziale.

Per approfondimenti, consultare la sezione del forum di CiaoLapo psicologia dell’età evolutiva, curato dalla collega Simona Agosti.

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