Se puoi sognarlo, puoi farlo?

by Claudia Ravaldi

A volte il lutto è una matrioska: mentre credi di doverne elaborare uno ne spunta dentro uno più piccolo, più subdolo, meno appariscente.

Un lutto matrioska molto frequente si verifica quando prima della perdita di un bambino è arrivata la diagnosi di perdita della fertilità.

Quando sapere dell’infertilità ha messo in crisi la coppia, e la propria aspettativa di genitorialità.

Ci sono molti tabù intorno alle storie di queste coppie. Storie che sembrano tutte uguali, perchè etichettate come “storie di infertilità”, storie che il mondo non vuole ascoltare (al pari delle storie di lutto perinatale, figuriamoci quando capitano insieme…).

Storie che tutti vogliono risolvere al più presto, e via col carosello di consigli rimedi opzioni cure, fisiche e mentali (che si sa, la testa ha il suo peso, continuano a dire alle nostre donne, soprattutto alle donne, come da tradizione).

Pensiamo che smantellare i tabù e offrire un autentico sostegno a tutte le componenti di questo lutto matrioska potrebbe aiutare le persone, le coppie, a relazionarsi con il loro problema in modo più consapevole, efficace e salutare. 

Ci interessa il benessere delle persone, ci interessa che ciascuno trovi la sua strada possibile, in bilico tra sogno e realtà.

Ci interessa anche, che la gente comune smetta di alimentare i tabù a colpi di disinformazione e soluzionismi.

Abbiamo provato a descrivere come arriva una coppia alla diagnosi di infertilità. Al primo grande lutto, che può minare l’identità e anche il valore personale, se non adeguatamente sostenuto. 

Claudia Ravaldi e Letizia Giorgini (il testo è frutto di un lavoro svolto su centinaia di testimonianze di svariate coppie che abbiamo incontrato in questi anni, dai racconti condivisi che abbiamo avuto la fortuna di poter ascoltare).

Se puoi sognarlo, puoi farlo!

“Siamo stati fidanzati, abbiamo deciso di vivere insieme, abbiamo preso un pesce, un gatto o un cane, siamo felici così.

Ci diciamo.

E per un po’, è proprio vero.

Poi, improvvisamente, sentiamo che manca ancora qualcosa per rendere megagalattica la nostra felicità.

Cerchiamo cosa.

Cambiamo ineluttabilmente prospettiva.

A volte, all’unisono, guardandoci negli occhi, realizziamo insieme.

A volte uno di noi arriva prima dell’altro, e cova quel frammento di felicità un pò, prima di capire se è condiviso.

Lo è. Lo capiamo.

Si affaccia all’orizzonte (al nostro orizzonte!) una piccola figura carica di promesse.

Ecco cosa era.

Ci manca un figlio.

Ed eccolo lì, appena realizzato è già nei nostri pensieri: prima di arrivare nella pancia è già nato nella testa e nel cuore.

Il figlio nasce dal desiderio, dicono.

E noi ne abbiamo già un numero esponenziale: improvvisamente pensiamo di iscriverla ad un corso di danza, o di esultare vedendolo in campo quando segna il primo goal.

Desideriamo che sia in un certo modo, ma anche che non sia in un certo altro modo.

Ad esempio, e ce lo diciamo prima di scoppiare a ridere, temiamo che prenda il nasone dalla nonna paterna o i piedi storti dello zio.

Non ci basta più essere “Tizia e Caio”, gli eterni fidanzati: vogliamo sentirci chiamare mamma o papà.

Tra l’altro è già da un po’ che chi è intorno chiede (o meglio dire indaga) quando diventeremo una “famiglia”.

E così decidiamo, speranzosi e increduli, di fare il tifo per quell’abbozzo di sogno che abbiamo sognato in due: da ora in poi via libera!

Il primo mese ci speriamo già, la testa è partita da un pezzo e vorremmo che il corpo procedesse con lo stesso zelo, ma si sa che a volte ci vuole un po’ di tempo e allora aspettiamo il secondo, il terzo e già iniziamo a preoccuparci un pò, mentre tutti intorno ci “rassicurano”: “Bisogna provare per un anno, poi vediamo se eventualmente c’è qualche problema. Ma di sicuro non c’è.” 

“Non c’è? Sicuro?” “Vedrai, la Nannini l’ha avuto a 54 anni….”

“Ok, la Nannini. Ok, un anno. Ok, sono sicuri”.

Ma  non arriva.

“Sarà colpa mia?” “Forse sarà lo stress, lo dicono tutti che lo stress incide sul concepimento. Bisogna che smetta di andare in palestra, forse mi stanco troppo. A me piace la palestra. Vabbè, è per il nostro sogno.”

Sento una strana paura serpeggiare.

Nuova.

E’ come un set di paure. Alcune non le decifro proprio. Altre ce le scambiamo tra di noi.

Ho paura che questo sogno stia diventando un problema.

Ho paura che il mio desiderio non sia forte come il suo. 

Sarà che non lo vogliamo abbastanza? Sarà che uno dei due in realtà non sta sognando come si deve?

Ho paura. Abbiamo paura. 

In un modo liquido, è una paura indistinta che però ci contamina i giorni e ci impedisce di essere lucidi. 

All’inizio decidiamo di non pensarci per un pò, alla paura, e alla paura della paura, poi arriva il momento della prima esplosione.

Arriva l’ennesimo flusso mestruale.

Arriva un’ondata di odio profondo, come una colata di lava, ricopre me, e lui, e il nostro sogno, e famelica, si estende ai sogni in fase di realizzazione e già realizzati degli altri. Amici, parenti, persino ai VIP che mostrano pancioni trionfali sulle riviste patinate.

Ricopre noi.

Prendiamo un lapillo di coraggio (a volte l’odio, è una spinta efficace verso gli atti di eroismo).

Andiamo da un’esperto per fare tutti gli accertamenti “del caso”.

Mi vergogno. Non vorrei essere qui. Tu mi guardi, non riesci a decifrarmi, sei smarrito, ti faccio paura e un pò pena. Si è aperta una crepa tra di noi. 

Dici di no. Ma io la vedo nel tuo sguardo impacciato la sento tra le parole “va bene anche se rimaniamo noi due e basta”.

No. Non mi basta più, noi due e basta. O forse sì. Ma questo vorrebbe dire cambiare sogno.

E poi ce lo dicono, tecnicamente irreprensibili e con le facce di gomma (chissà perchè la gente che da le cattive notizie ha la faccia di gomma? Non l’ho mai capito..)

Ci sono dei problemi. 

Tra noi e il nostro sogno.

E noi ci guardiamo, siamo l’uno la zattera dell’altro, e l’uno il naufrago dell’altro.

E diventiamo due giganteschi, goffi, disperati, increduli perchè.

Perchè proprio a noi?

Noi che, ne eravamo davvero molto sicuri, sicurissimi, abbiamo tanto amore da dare, tanto che eravamo già lì a bordo campo a incitarlo o sotto il palco a vederla fare le piroette in quella gonnellina rosa e lo chignon perfetto?

Perchè?

Se puoi sognarlo, puoi farlo! non lo so cosa succederà.”

 

La diagnosi di infertilità colpisce nei denti, come tutte le diagnosi infauste, che hanno decorsi lunghi, terapie complesse ed esiti incerti.

Le coppie vivono di perchè, come tutte le persone esposte a un trauma, per giorni, per mesi. Tutti questi perchè diventano così rumorosi nella testa che bisogna fare ancora più rumore per non sentirli. E allora succede di urlare e di arrabbiarsi, e spesso non lo puoi fare con altri se non con chi ti sta accanto. 

Nella storia ideale “e vissero felici e contenti” i due riescono a farsi forza reciprocamente, a superare i momenti difficili, a mettere da parte i sogni di famiglia che hanno fatto per trent’anni a trovare uno spazio genitoriale altro e pienamente soddisfacente.

Oppure, dopo tanti e tanti tentativi, riescono ad avere finalmente il loro figlio sognato per così tanto tempo, che adesso nemmeno ci speravi più.

Le storie vere, con buona pace di Disney, o dei fratelli Grimm, sono più complicate. Le variabili sono infinite. Non è scontata la fine della storia, fino all’ultima pagina può cambiare. Ed è proprio questa “sospensione”, questo non poter sapere cosa accadrà e quando, e a che prezzo, la prova suprema di resilienza per i genitori infertili.

Nelle storie vere arriva come una slavina la rabbia contro il destino, contro quelle inutili ovaie, contro quei rincoglioniti di speramatozoi, la colpa verso se stessi per non essere in grado di esaudire l’unico desiderio che vorreste davvero fosse esaudito, e che ogni giorno ci sembra l’unico possibile per cui valga la pena di vivere. Nelle storie vere arriva la colpa nei confronti dell’altro per non essere in grado di dargli una “vera famiglia”, e l’elenco dei sacrifici che bisogna fare per realizzare il sogno. E arriva il dolore, tanto e talmente profondo che sembra inafferrabile.

Eppure è un vissuto incompreso, che si liquida con un “ci sono tante soluzioni alternative oggi” e un “poverini, eppure sarebbero tanto dei bravi genitori loro!”.

E questa situazione tabù è un vero e proprio lutto.

Da cui ripartire.

Per capire in che ordine rimettere i desideri, in che modo maneggiarli, e qual è la strada migliore per fare di questa storia, la nostra storia di famiglia.

You may also like