L’autopsia perinatale

by Claudia Ravaldi

Ci sono ragioni mediche importanti da conoscere per comprendere il senso dell’autopsia perinatale, e ci sono anche degli aspetti relazionali da conoscere quando come operatori proponiamo, effettuiamo e poi restituiamo le risposte dopo un esame autoptico. Vediamo brevemente le cose da sapere.

In passato ci siamo già occupati di questo tema sul nostro blog: qui potete leggere l’intervista al Prof Gaetano Bulfamante, che da molti anni generosamente collabora con noi per promuovere le giuste pratiche in materia di approfondimenti diagnostici, e qui invece potete leggere perchè l’autopsia è importante anche in vista di una gravidanza successiva alla perdita, a cura della dott.ssa Valentina Violante Pontello. Un ulteriore approfondimento, relativo a cosa dovrebbe avvenire durante la prima visita ginecologica dopo una morte in utero, potete leggerlo qui, a cura della dott.ssa Laura Avagliano.

Durante l’ultimo congresso mondiale organizzato dall’International Stillbirth Alliance  sulla morte in utero, svoltosi a Cork a Settembre 2017, si è molto discusso, sia nella sessione per operatori, che in quella per genitori, del ruolo degli approfondimenti diagnostici e dell’esame della placenta e del cordone per la diagnosi e per la ricerca, ma anche di come questi esami, se correttamente svolti e correttamente rispiegati ai genitori, possano essere un importante fattore di resilienza e benessere per la coppia in lutto e anche un mezzo per costruire l’alleanza terapeutica tra ospedale e famiglie.

In molti paesi del mondo l’autopsia viene letta dall’equipe (un rappresentante per ogni categoria professionale) alla coppia. La coppia riceve spiegazioni scritte e grafiche, con linguaggio comprensibile, sia quando ci sono cause certe, sia quando ci sono ipotesi diagnostiche su alcuni probabili fattori di rischio, sia quando non si è trovato nulla che possa spiegare la morte del bambino. 

In molti paesi tutto questo avviene dentro l’ospedale in cui è avvenuto il parto, con la stessa equipe che ha seguito la donna, solitamente entro sei – otto settimane dal parto, dopo ben due follow up: uno telefonico, ed uno alla famosa visita dei 40 giorni, che in questi paesi si svolge, ancora, nello stesso ospedale dove è avvenuto il parto.

Questa continuità assistenziale, la chiarezza nelle procedure e nei percorsi diagnostici, la possibilità di sentirsi partecipi di un progetto lineare e coerente in cui ognuno ha un ruolo definito e rispetta tempi e modi per comunicare, è presente in tutte le linee guida internazionali, che mettono al centro non solo la coppia in lutto e il loro bambino morto, ma anche gli operatori, che sono messi nelle migliori condizioni di lavorare, e possono sentirsi parte di un’equipe che funziona.

Tutto ciò per dirvi che da noi, arrivano ancora mail come questa. 

“Non c’è stato nessun colloquio neanche per spiegarci cosa significa ciò che ha scritto l’anatomo-patologo riguardo a nostro figlio e alla placenta.”

 

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