Le tue parole fanno male, lo sai?

by Claudia Ravaldi
Engin_Akyurt

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Si può essere violenti senza muovere un dito. A volte è sufficiente aprire la bocca, inarcare le sopracciglia o roteare gli occhi verso l’alto. Quando esprimiamo giudizi svalutanti sul nostro interlocutore, con la bocca o con la faccia, commettiamo, (spesso) senza esserne consapevoli, un abuso verbale e/o psicologico.

L’abuso e la violenza verbale sono principali costituenti della violenza psicologica, che si manifesta spesso a partire da abusi verbali e psicologici, con un cattivo uso del silenzio o l’utilizzo voluto di barriere della comunicazione. Anche se l’abuso verbale può avere caratteri di occasionalità, e dunque non essere reiterato, la violenza psicologica si configura come una serie di eventi ripetuti nel tempo. Una relazione continuativa (tra padre e figlia, tra insegnante ed alunno, tra medico e paziente) può dunque nascondere al suo interno abusi verbali e psicologici, che vengono assorbiti dalla relazione, e non sono immediatamente visibili dalla vittima, che inizialmente scambia gli abusi per “consigli” o “dati di fatto”. 

E’ il caso di frasi come: “Non sei capace di fare figli, meglio se adotti” o “Non era nemmeno un bambino, ma un mucchio di cellule, cosa piangi a fare?” o “A 21 settimane sono feti, non bambini” e molte e molte altre, rimaste indelebili nelle orecchie di migliaia di donne alle prese con gravidanze, travagli e parti complicati dalla morte dei loro bambini attesi. A debita distanza, queste frasi suonano sgradevoli, magari maleducate, ma nulla più. Non fanno presa, a debita distanza. Perchè a debita distanza siamo più forti e possiamo proteggerci da eventuali abusi. Peccato che una donna appena colpita da lutto perinatale, magari ancora in travaglio o appena dimessa dall’ospedale sia così annientata dal lutto da prendere per veritiere, o verosimili, affermazioni come queste.  

L’abuso verbale è comunemente utilizzato anche nei media e dai media: ritroviamo esempi frequenti nella nostra quotidianità, in tv e sui social media e nei luoghi della vita comune. Sono così diffusi, gli abusi verbali, da essere spesso ritenuti normali, leciti e persino “utili” per l’interlocutore / vittima di abuso. 

L’obiettivo per cui si ricorre agli abusi verbali infatti non è necessariamente quello di nuocere all’interlocutore, o di “ferirlo”. Come abbiamo già detto, possono essere del tutto occasionali, nell’ambito di una relazione fino a quel momento sufficientemente rispettosa.

Spesso chi utilizza le parole o le espressioni facciali in modo improprio e abusante sottolinea con forza alcune motivazioni a sostegno dell’abuso commesso: ho detto così per spronare, motivare, consolare, convincere tizio, che ha inaspettatamente reagito male. Lui è troppo sensibile e permaloso, se se la prende. In fondo son solo parole.

Secondo l’abusante, le ragioni di partenza dell’abuso verbale da lui perpetrato sono nobili: tendono al miglioramento della vita dell’abusato, hanno il fine di correggere alcuni suoi pensieri o stati d’animo, o comportamenti, per il suo esclusivo bene.

L’abusante verbale pensa infatti di sapere bene molte cose che sfuggono all’abusato, e dunque, con le sue parole e le sue facce disapprovanti, mira a rendere edotto il suo interlocutore, a sbloccare una situazione altrimenti troppo complessa.

Se chiediamo conto all’abusato verbale del bene ricevuto, egli risponderà che no, l’obiettivo di spronare, motivare, consolare, convincere non è stato affatto raggiunto, che non c’è stato alcun miglioramento significativo e duraturo nella sua qualità di vita e che l’unico effetto derivato dall’abuso verbale è stato aumentare il disagio ed il malessere, peggiorando la situazione.

L’abuso verbale inizia con l’intento di migliorare una situazione, ma è percepito dall’interlocutore come un aggravante della situazione di partenza.

Risulta evidente che alla base dell’abuso verbale c’è spesso un equivoco sulla comunicazione, sulla relazione, e sulla funzione della comunicazione nella relazione. Spesso chi abusa non si rende conto di abusare, perchè non ha un senso sufficientemente sviluppato di confine relazionale. Pensa di poter invadere gli spazi intimi, privati e soggettivi dell’interlocutore con le sue opinioni e il suo sentire, dando per scontato di avere ragione (e l’abusato, ovviamente, torto). Questo importante equivoco relazionale (nessuna reciprocità, nessuna parità, nessuna intrinseca rispettabilità, ma una distanza verticale tra posizione up, abusante e down, abusato) può avere conseguenze molto gravi non solo sulla relazione tra colui che abusa e chi subisce l’abuso, ma a lungo termine anche sul benessere psicofisico sia di chi abusa (anche senza saperlo!) e di chi è vittima di abuso (che deve districarsi spesso tra gli aspetti razionali di una comunicazione abusante e quelli emotivi)

Dell’abuso verbale dopo un lutto perinatale su CiaoLapo abbiamo parlato più volte: qui nel forum i genitori hanno discusso in modo molto articolato di violenza verbale e inappropriatezza di alcune frasi sia di persone comuni che di operatori sanitari, mentre qui abbiamo parlato del trauma esplorando gli effetti traumatogeni dell’abuso verbale e della traumatizzazione secondaria a questo tipo di abuso.

Su La morte in-attesa ho infine dedicato un lungo capitolo alla cattiva comunicazione e ai suoi effetti nell’elaborazione del lutto: molte linee guida, tra cui le linee guida della SANDS, sottolineano magistralmente il ruolo di una buona comunicazione nella care delle persone colpite da lutto perinatale.

L’attenzione al linguaggio utilizzato, alla comunicazione verbale e non verbale, alla relazione terapeutica dovrebbe essere parte costituente della quotidianità di tutti i professionisti coinvolti nella cura, delle donne e dei bambini soprattutto: i vantaggi di una formazione in questo senso sono ormai noti, come più volte espresso dagli operatori italiani in alcune nostre ricerche e pubblicazioni. Dal 2008 con Cristina Fiore abbiamo strutturato un programma specifico di formazione per la relazione di aiuto, ComuniCare, che ha riscosso vivo interesse tra gli operatori del settore materno-infantile ed ha permesso di migliorare l’approccio al lutto perinatale e al management della gravidanza fisiologica e a basso, medio ed alto rischio, nel rispetto di tutti gli interlocutori coinvolti.

Con CiaoLapo da anni ci occupiamo di tutte le forme di abuso e violenza verbale, fisica e psicologica correlate agli eventi di perdita prenatale e postnatale.

Durante un evento altamente traumatico, e ogni forma di perdita durante la gravidanza e dopo il parto lo è, qualunque forma di trascuratezza o abuso costituiscono infatti una traumatizzazione secondaria.

La buona notizia è che insieme, seguendo poche e semplici regole di organizzazione aziendale, di formazione, di comunicazione verbale e non, la traumatizzazione secondaria viene meno e conseguentemente il genitore in lutto ha tutto il suo tempo e il suo cervello disponibile per occuparsi dell’elaborazione del trauma primario.

L’operatore che lavora in un’equipe non abusante e non trascurante sviluppa inoltre tutte le sue capacità di saper fare e saper essere e riduce lo stress correlato ad un’assistenza complessa come quella di una coppia colpita da lutto prenatale e post natale.

Lavorare sulle parole e sui gesti è vantaggioso per tutti. Facciamolo!

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