La gravidanza non è una malattia

by Claudia Ravaldi

La gravidanza non è una malattia (attenzione: per esclamare correttamente questa frase, pregasi aggiungere almeno due punti esclamativi, ambedue le sopracciglia alZate e far roteare gli occhi al cielo in segno di esasperata superiorità).

Questa frase serpeggia nella nostra cultura da almeno 40 anni. L’ho sentita per la prima volta a 6 anni, dal cerchio di donne del mio condominio, mentre parlavano di una vicina di casa, incinta di otto mesi, che aiutava il marito a gestire un negozio di frutta e verdura. L’ho poi sentita in molte altre occasioni, durante l’attesa delle mie 3 cugine, (anni 90), poi durante la specializzazione (erano iniziati gli anni 2000, e il mio allora primario uomo pretendeva che le mie colleghe incinte facessero comunque le notti di guardia in ospedale psichiatrico), poi durante la mia gravidanza (mentre con gradi 43 all’ombra facevo le sostituzioni estive ai medici generici, incinta di sette mesi, assolvendo il mio compito di donna “sana” che non deve farla tanto lunga), poi dopo il mio lutto perinatale (la tua gravidanza era fisiologica, tu NON sei mica malata, sarà successo qualcosa di imprevedibile…). Infine, questa frase è rimbombata nei miei padiglioni auricolari durante  decine e decine di corsi  di formazione che ho fatto a ostetriche e psicologi. Ogni volta, c’è sempre qualcuno molto esperto, tra gli “addetti ai lavori” che sbuffa, perchè porto l’attenzione a tutte le (numerose) volte in cui, ahimè, questa frase è inapplicabile. Perchè a lui non risulta. Anzi, nella sua esperienza i casi sono “rarissimi”. E giù a cercare di convincermi che ha ragione lui e che sono io esagerata. Poniamo che sia vero.

La gravidanza non è una malattia. (facciamo finta che questa sia una legge scolpita nella pietra, indiscutibile in quanto tale: adesso potete abbassare le sopracitate sopracciglia)

Questa frase ha una sua logica interna (di per sè, gestare un bambino non è infatti un processo patologico).

Questa frase è parte di una certa cultura popolare italiana: la troviamo disseminata urbi et orbi, in luoghi di cura e  nelle piazze, su facebook sotto le foto delle donne famose in “dolce attesa” o durante le chiacchiere che accompagnano l’apericena tra amiche (che spettegolano, ovviamente, di amiche non presenti, e magari gravide).

Credo che la maggior parte delle donne che ogni anno in Italia aspettano un bambino si senta dire questa frase da una o più persone, come un bel mantra motivazionale.

Come se fossimo tutte sceme, e avessimo bisogno di rinforzi positivi per non chiedere un TSO lungo nove mesi (ah la bellezza di trascorrere nove mesi in clinica! Fate bene, dico io, a ricordarci che la gravidanza non è una malattia, perchè la tentazione di approdare a un letto d’ospedale, devo ammettere è ormono-dipendente e certe settimane fortissima, vuoi mettere il vantaggio di mangiare tutti i giorni purè e semolino?).

La gravidanza non èeeeeeee una malattiaaaaaa (stavolta pronunciamo questa affermazione nella versione “sorriso di commiserazione”: poverina, se stai così male nel primo trimestre come farai con le nottate? Oppure, se preferite, c’è anche la versione  “sguardo di rimprovero” tipo: mia nonna ha lavorato nei campi fino al parto eppure ne ha fatti 4, e te sei a letto per “due” contrazioni?).

SPOILER: 

In molti, ancora troppi casi, la gravidanza anche se partita come “fisiologica” si associa a disturbi, fisici o psichici, più o meno transitori, più o meno gravi.

Quindi una frase completa, da pronunciare, se proprio non riusciamo a stare zitti, alla prima gravida che incontriamo per motivi di coda alle poste – amicizia – professione potrebbe essere: la gravidanza non è una malattia, ma siccome è un momento di tanti cambiamenti psichici e fisici, potrebbe associarsi a delle complicanze, di cui è possibile comunque prendersi cura.

Quando parliamo di  gravidanza e maternità dovremmo poter pensare a tutti gli scenari possibili, a tutte le maternità e a tutte le gravidanze, non solo a quelle che ci fanno più comodo (quelle il cui problema più importante è la farcitura della torta per il baby shower per intendersi: cioccolato o crema pasticciera?)

Se vogliamo parlare di maternità e di gravidanze, dobbiamo tenere conto di una discreta fetta di popolazione ad oggi negletta. Negletta e scomoda. 

Perchè è vero, la gravidanza, NON è una malattia, in quanto gravidanza (come la menopausa NON è una malattia, in quanto menopausa).

Le condizioni fisiologiche legate al ciclo di vita NON sono patologie. Nemmeno la morte è una patologia, se è per questo. Eppure.

Eppure, nella nostra testa di adulti, continuiamo ad utilizzare “frasi scacciaguai“, per tenerci lontani dalle situazioni-rischio.

La realtà è che con questa frase (associata alla mimica apposita di cui sopra), il nostro cervello stabilisce un netto confine tra ciò che può pensare, e sostenere, senza angoscia, e ciò che per lui è impensabile ed in quanto tale va esorcizzato, tenuto lontano, negato, con tutte le forza possibili. Anche a costo di negare le evidenze. 

Questo processo ha però un MA.

Un MA molto grosso, e ingombrante. Un MA che si cerca di tenere sotto il tappeto dell’attenzione, pubblica e privata, perchè scomodo, come solo i tabù sanno essere.

Un MA che si spera riguardi sempre e solo gli altri. A debita distanza dalle nostre pance, dai nostri studi professionali, dai nostri amici.

Questo MA riguarda 1 donna su 6 in gravidanza, dal punto di vista fisico.

Riguarda inoltre 1 donna su 6 dopo il parto, dal punto di vista mentale.

Riguarda 1 donna su 6 circa (potrebbe essere meno, ma anche di più, le statistiche sono poco precise) che per tutta la gravidanza e per tutto il puerperio fa i conti con sintomi della sfera ansiosa (questi ultimi particolarmente banalizzati e ridicolizzati dagli addetti ai lavori durante le visite).

Su 6 donne che hanno iniziato un percorso di gravidanza desiderata, quindi, 1 perderà il suo bambino e entrerà nella dimensione parallela del lutto perinatale, l’altra sentirà di stare perdendo se stessa, entrando nella dimensione parallela della depressione post partum, 1 sarà bollata come “troppo ansiosa” e entrerà nelle spire del rimuginio e del cortisolo impazzito.

La metà circa delle donne in gravidanza è esposta a uno tsunami, fisico o emotivo, più o meno aggressivo, che per un periodo di tempo non trascurabile le impegnerà con emozioni, pensieri, sensazioni e comportamenti diversi dalla tanto sbandierata “fisiologia”  di cui si tende ad ammantare il complesso e variegato mondo della gravidanza e della maternità. Come se non essere “fisiologiche al 100%” rendesse meno madri le madri e meno figli i figli.

Come se affermando che “La gravidanza non è una malattia” a ogni piè sospinto si affermasse di fatto che se c’è una malattia/lutto non è proprio una gravidanza, non sei proprio una madre: e allora cosa è quella esperienza? cosa sono quelle 3 donne su 6? Di che parliamo, in quel caso?

Sono esperienze totalizzanti e travolgenti, la gravidanza e  la maternità: le istituzioni, gli addetti ai lavori, e la cittadinanza dovrebbero porre in essere tutte le strategie atte a tutelare tutte le donne gravide, a preservare laddove possibile tutti gli aspetti della fisiologia (se ne trovano alcuni, intatti anche nelle donne con le gravidanze complicate), ma anche a individuare tempestivamente tutti gli indicatori di rischio, le criticità individuali, fisiche o psichiche che siano: la gravidanza non è una malattia ma in tre donne su sei si associa a difficoltà  spesso molto importanti e significative.

Uno stato che tutela la maternità non ha paura di parlare di lutto perinatale, di depressione post partum e di salute materna.

Uno stato che tutela la maternità aiuta i suoi cittadini a non foraggiare vetusti e pericolosi tabù, a sostenere le madri in attesa, a tutelarne la salute, fisica e psichica.

Uno operatore che tutela la maternità allena il suo cervello a pensare l’impensabile, e riconosce la differenza tra “accogliere” ed “esorcizzare”.

Le madri colpite da lutto esistono e possono tornare a vivere pienamente, anche se zoppe nel cuore.

Le madri colpite da depressione post partum esistono e possono tornare a vivere pienamente oltre il buio.

Per tornare a vivere pienamente hanno bisogno anche di una cultura della maternità che sia rispettosa delle maternità tutte, delle persone, delle storie. 

Per tornare a vivere pienamente hanno bisogno di dimenticare le facce arcigne e derisorie di chi ha detto loro, in tempi non sospetti: La gravidanza non è una malattia!.

 

 

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