Teniamo d’occhio la natimortalità

Un nuovo studio mostra un trend preoccupante negli USA

by Alfredo Vannacci

Negli Stati Uniti, il tasso di morte fetale in utero dopo le 20 settimane, la cosiddetta natimortalità o stillbirth in inglese, è tornato a salire, raggiungendo 5,7 ogni 1000 nascite e oltre 10 ogni 1000 tra le donne afroamericane.
Lo rivela un ampio studio prospettico pubblicato su JAMA nel 2025, condotto su quasi 3 milioni di gravidanze tra il 2016 e il 2022.

Essendo uno studio prospettico basato su dati clinici, e non come spesso accade su archivi amministrativi o certificati di morte, questo lavoro è particolarmente affidabile e sensibile: fotografa con più precisione la realtà delle perdite fetali e mostra un fenomeno tutt’altro che risolto.
Gli autori stimano che circa la metà delle morti fetali a termine potrebbe essere evitata grazie a una migliore sorveglianza ostetrica, a controlli regolari e a una presa in carico più equa delle donne in gravidanza.
Ma ricordano anche che un terzo delle morti fetali avviene in assenza di fattori di rischio riconosciuti, a conferma di quanto sia importante mantenere attivo un sistema di cura che non lasci indietro nessuno, neppure le gravidanze considerate “a basso rischio”.

Anche nei paesi ad alto reddito non possiamo abbassare la guardia

Questa ricerca rinforza le riflessioni che abbiamo presentato nel lavoro internazionale pubblicato su BMC Pregnancy and Childbirth nel 2023 (de Graaff et al., con la partecipazione di CiaoLapo e dell’Università di Firenze).
Questo studio ha creato la prima “Scorecard internazionale” per i paesi ad alto e medio reddito, un sistema di indicatori per misurare i progressi nella prevenzione della natimortalità e nella qualità dell’assistenza al lutto.

I risultati non lasciano spazio a dubbi:

  • esistono forti disuguaglianze tra paesi e all’interno degli stessi paesi, con tassi che vanno dal 2‰ della Finlandia al 7‰ del Brasile, e con valori più alti in gruppi sociali, etnici o geografici svantaggiati;

  • la maggior parte dei paesi non ha obiettivi nazionali né piani di riduzione della natimortalità, e pochi (solo 3 su 13) hanno linee guida per l’assistenza al lutto perinatale;

  • la raccolta dati è frammentaria e spesso mancano indicatori di equità e qualità dell’assistenza, rendendo difficile valutare davvero dove e perché si muore di più;

  • infine, solo un paese su tre ha previsto strategie nazionali per combattere lo stigma e migliorare la consapevolezza pubblica su un tema ancora troppo invisibile.

Queste lacune rendono evidente che, anche nei sistemi sanitari avanzati, il progresso non è mai garantito: senza politiche pubbliche mirate, i tassi di natimortalità possono smettere di diminuire, o addirittura risalire.

E in Italia? Buoni risultati, ma attenzione a non abbassare la guardia

Sappiamo che nel nostro Paese il tasso di natimortalità è tra i più bassi d’Europa, ma non possiamo permetterci di considerarlo un successo acquisito.
Il livello medio positivo nasconde differenze territoriali importanti e segnali di fragilità nei percorsi di assistenza alla gravidanza.

Negli ultimi anni, in alcune aree, si sono osservate riduzioni nell’accesso universale ai servizi di base, visite ostetriche più rare o ritardate, carenze di personale e un progressivo indebolimento della rete territoriale di supporto alla maternità, soprattutto nei contesti rurali e svantaggiati.
Questi fenomeni, se non affrontati, possono aumentare il rischio di perdita fetale, soprattutto tra le donne che già partono da condizioni di salute o di vita più vulnerabili.

Per questo motivo è fondamentale che l’Italia mantenga e rafforzi i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), garantendo realmente a tutte le donne, indipendentemente da reddito, cittadinanza o luogo di residenza, un accesso continuativo, gratuito e di qualità ai servizi di monitoraggio e prevenzione in gravidanza.
La tutela della salute materna e fetale è un diritto fondamentale, e i LEA devono assicurare una copertura universale: visite ostetriche regolari, esami diagnostici appropriati, presa in carico multidisciplinare in caso di complicanze, e una rete integrata tra territorio e ospedale.

Solo così è possibile prevenire le morti evitabili e promuovere una vera equità di salute perinatale, un obiettivo che la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità inserisce tra le priorità globali da raggiungere entro il 2030.

Riferimenti principali

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