Io ho già un fratello!

by Claudia Ravaldi

La perdita perinatale coinvolge i fratelli e le sorelle maggiori che passano in pochi momenti dall’attesa di un fratellino ad un lutto inaspettato.

La famiglia in lutto è un sistema pieno di entropia, di amore, di protezione reciproca, di dolore, di rabbia, di sfiducia, di imposizioni, di silenzi, di segreti, di mutismi.

La famiglia in lutto dopo essere stata messa in crisi dalla pesante onda d’urto causata dalla morte del bambino atteso, ha il compito di ricomporsi, diversa da prima eppure simile, modificata ma non snaturata nella sua essenza, trafitta dal dolore, ma non sconfitta: le relazioni interne alla famiglia, quelle dei genitori tra loro e dei genitori con i figli, sono canali privilegiati attraverso cui il lutto può essere elaborato, ridefinito, attraversato, senza lasciare troppi ferite aperte, senza intaccare le relazioni preesistenti.

La famiglia in lutto esprimerà quindi un lutto “collettivo” e condiviso da tutti i membri e alcuni lutti personali e intimi (uno per ogni membro della famiglia): questi lutti personali spesso non condivisi o non condivisibili, per pudore, ma anche per proteggere i membri della famiglia percepiti come più fragili, dovrebbero sempre trovare un canale espressivo esterno (un gruppo di autoaiuto per gli adulti, un insegnante di scuola o un altro adulto della famiglia allargata per i bambini) al fine di non “esplodere” in tempi non sospetti, in un lutto complicato. Per molti genitori occuparsi anche del lutto dei figli è troppo impegnativo, nei primi mesi dopo la perdita. Per altri, occuparsi solo del dolore dei figli diventa l’unica ragione esistenziale, a scapito del loro lutto personale, chiuso in un cassetto a lievitare.

Pensare a tutta la famiglia, a tutti i suoi membri e ai vari lutti che essi affrontano è un impegno che la nostra società fatica a prendersi. Il lutto in generale spaventa, il lutto nei bambini terrorizza. Nessuno mai vorrebbe che un bambino, di uno, tre, cinque, otto, dieci, dodici, quindici anni (potrei continuare ancora, in questa società che allunga all’infinito i tempi della crescita) dovesse soffrire la perdita.

La soluzione adottata negli ultimi cinquant’anni dalla nostra società è stata quella di negare il lutto ai bambini. Fingere che non esista alcun lutto. Niente di niente. Ci sono stelline nel cielo, ponti dell’arcobaleno, nonni ex pantofolai che scappano per fare un viaggio, cani che si innamorano e vanno ad abitare in montagna e pesci rossi che tornano dalla loro mamma. Ci sono, poi, fratellini troppo belli per essere fratellini, che si trasformano in angeli custodi. Ci sono tutte queste evenienze bizzarre, ma non ci sono i morti. E siccome non ci sono i morti, non ci può essere nemmeno la parola, morte. E se non può esserci la parola morte, perchè c’è il volo, il viaggio, e quant’altro, non ci potrà essere un pensiero condiviso su quanto accaduto. Senza pensiero condiviso e senza parole, non potrà esserci alcuna idea del lutto nella testa dei bambini, e senza alcuna idea di partenza non si potrà sviluppare nè un pensiero dettagliato sulla questione, nè un carnet di ipotesi e di risorse esperienziali.

Tuttavia, il lutto ci sarà, e per molto tempo, anche.  Il lutto ha i suoi tempi ed i suoi modi per esprimersi: il lutto è un cappotto incollato sul corpo degli adulti della famiglia, che si sforzano di fare come se non fosse accaduto nulla e tutto fosse sotto controllo, ma indossano questa fragile corazza che li ingessa. Alcuni bambini imparano presto che a casa non si può parlare “di quella cosa lì“. Altri imparano invece che a casa non si può parlare “d’altro”. Alcuni imparano che mamma e papà vivono il lutto in modo diverso, e loro si trovano a “parteggiare” per l’uno o per l’altro, con fatica e zelo, per tentare di “curare” il dolore. Altri sperimentano l’invidia per i compagni di scuola a cui va tutto bene, che hanno dieci fratellini, e loro no, zero, neanche uno. Altri si accorgono che quel fratellino prende tutto lo spazio. Non nelle preghiere, o nei momenti di ricordo. Sottopelle, nella pelle dei genitori, delle mamme sopratutto, questi fratellini “fantasma” “angioletto” “supereroe” sono onnipresenti. Assenti, eppure giganteschi.

È troppo, a volte, sopportare questa gara impari tra i fratelli vivi e quelli morti. I fratelli morti sono ingombranti, tanto più quanto più la famiglia, la scuola, la società non riesce a trovare loro uno spazio definito in cui collocarli. Quanta più omertà e indifferenza circonda i bambini morti, tanto più grande sarà lo spazio che essi occuperanno. Spesso a scapito dei fratellini vivi.

Ecco allora che quando accade un lutto perinatale, ogni membro della famiglia dovrebbe essere sostenuto e stimolato a prendersi cura del suo lutto privato e personale e a condividere una parte di percorso di lutto con gli altri membri della famiglia, così da trovare un modo di vivere questo evento che sia il meno traumatico possibile e il più rispettoso delle esigenze di tutti, grandi e piccini.

“Quando te lo fai fare dalla mamma, un fratellino? – disse una conoscente impicciona ad Anna, sette anni e mezzo.

Io ho già un fratellino, si chiama Matteo, ed è morto nella pancia della mia mamma prima di nascere. Ecco la sua foto. Ciao!” rispose Anna, tornando a giocare con le sue amiche. 

Matteo è il secondogenito, nato morto due anni dopo Anna. Dopo Matteo, i genitori di Anna non hanno avuto altri figli, ma questo non ha impedito a loro e ad Anna di elaborare il lutto, trasformarlo, e vivere pienamente la loro vita. 

 

 

 

 

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