Una su sei

by Claudia Ravaldi

In Italia abitano 60.656.000 persone, distribuite in 20 regioni e 7998 comuni.

Ogni anno nascono vivi circa 500.000 neonati, mentre altri 120.000 muoiono durante la gravidanza o entro un mese dalla nascita.
Questo significa che ogni 6 gravidanze iniziate, una si interrompe.
Questo significa che di sei donne che si recano al primo controllo ecografico, una perderà il suo bambino, più spesso nel primo trimestre o all’inizio del secondo, più raramente a termine di gravidanza o dopo la nascita.
 

Tradotto in numeri grezzi: quando andiamo davanti all’uscita di una scuola materna, e incontriamo sei madri, la possibilità che una di loro abbia perso o perda in futuro un bambino è elevata: nel nostro paese, da circa venti anni, questi numeri sono “incomprimibili”, non scendono al di sotto di certi tassi.
Ci attendiamo, anno dopo anno, un numero “fisso” di aborti spontanei nel primo trimestre, di aborti cosìddetti tardivi nel secondo trimestre, di morti in utero e di morti postnatali. Sappiamo che ci saranno. L’Istat lo conferma, anno dopo anno, lo confermano i certificati del Cedap, quando ci sono, sono correttamente compilati e letti.
 
Una su sei.

 

Dopo dieci anni di CiaoLapo, dopo dieci anni di lavoro in questo mondo parallelo, di madri con le braccia mezze piene e mezze vuote, o interamente vuote, mi chiedo cosa fanno le nostre istituzioni per le 120.000 donne ogni anno che sono “quella gravidanza su sei” che si interrompe.
Mi chiedo cosa fanno le istituzioni per le donne che non riescono a fare parte di questa statistica, perchè le loro gravidanze non iniziano nemmeno (sono tre milioni, ci dicono le statistiche).

 

Dove stanno, queste donne? E i loro compagni? E i figli già presenti, quando presenti, anche loro travolti dal lutto?
 

C’è un posto per loro, che non sia un “luogononluogo” come CiaoLapo, luogo virtuale che le persone devono andarsi a cercare, spesso a centinaia di chilometri di distanza dalla loro città di residenza?
 
Possiamo “occupare”, in quanto cittadini, i nostri paesi, le nostre città, i nostri luoghi di vita con le nostre storie, senza essere ignorati?
 
Possiamo fare la differenza per il prossimo esercito di donne a braccia vuote, quello che il prossimo anno l’Istat ci racconterà sotto forma di grafici e di numeri e di “calo demografico”?
 

Io e Alfredo nel 2006, abbiamo pensato al lutto peri-natale (partendo dalla morte in utero a termine che ci ha colpiti e via via includendo tutti i lutti peri-natali, intorno alla nascita, compresa l’infertilità) pensando alle persone.
Pensando a tutti i soggetti coinvolti, genitori in primis, ma anche parenti, amici, datori di lavoro, operatori e professionisti sanitari, pedagogisti e insegnanti dei fratelli in lutto.

La nostra visione, fin da subito è stata sociale.
Non volevamo un’associazione di “nicchia”, avulsa dal contesto in cui viviamo, ma un’associazione di donne e uomini con un profondo senso civico e sociale inserita nel contesto, parte integrante della cittadinanza.
 
Volevamo una comunità (ce l’abbiamo, in parte virtuale, in parte vera e verace, e ne siamo orgogliosissimi) capace di aprirsi alla comunità intera, e fondersi nel tessuto sociale.
 
1 su 6. A nostro avviso è un numero fin troppo rilevante, per fingere che quelli non siano cittadini. Per fingere che non necessitino di spazio, di supporto, di cultura e di accoglienza.
 
E dunque, a dieci anni dalla fondazione di CiaoLapo e prossimi al decimo Babyloss Awareness Day del 15 Ottobre, una considerazione per tutti noi.

 

Cosa possono fare le persone, i Comuni, le Regioni, le Aziende Ospedaliere, i Consultori e le Istituzioni locali, regionali e nazionali?

 

Come dare spazio alla sesta donna della statistica, e alla sua famiglia?

 

Potremmo iniziare dal riconoscimento del 15 Ottobre, prendere atto, che esistono 120.000 donne ogni anno e altrettante famiglie, che desiderano, concepiscono, attendono e perdono.
 
Esistono.
Sono intorno a noi.
Sono le nostre sorelle, amiche, insegnanti, cugine.
Siamo state noi.
Potremmo essere noi.
 
Diamo Spazio alle loro storie. Alle storie di quelle che verranno.

 

Sappiamo per esperienza che non è facile, fare consapevolezza.
E’ un percorso accidentato, quello della consapevolezza sul lutto perinatale.

E’ un percorso a denti stretti, la ricerca dello spazio per queste donne e sorelle, che vivono un’esperienza traumatica nell’indifferenza sociale e istituzionale.

E’ un percorso che richiede lungimiranza, fermezza, pazienza.

Promuovere consapevolezza è “roba per stomaci forti”, ci diciamo, da dieci anni a questa parte, dopo ogni porta in faccia che prendiamo da colleghi medici, psicologi, ostetriche, politici, amministratori.
Non tutti, certo e per fortuna, ma molti.
Ancora troppi.
Ciechi e sordi di fronte alla letteratura, alle esperienze, ai dati, ai grafici, all’arte, persino.
Ciechi e sordi di fronte alle persone che soffrono, e a quello che, se debitamente accolte e sostenute, possono tornare ad essere. Brillanti risorse per loro stesse, per le loro famiglie e per la nostra comunità.
Ciechi e sordi, chiusi dentro i loro ospedali, le loro università, le loro scuole retrò. Chiusi in un mondo parallelo, in cui 1 su 6 è “il caso clinico”. In cui 1 su 6 non è una persona nella sua interezza.
Che le persone, prese tutte intere, nel bene e nel male, fanno paura, danno fastidio.
Che pensare a 620.000 culle ogni anno, e pensare che 120.000 restano vuote, è troppo angosciante.

 

Voglio raccontarvi come procede, in Italia, dove la nostra proposta di legge è naufragata tra le spire del governo e dove il ministero della salute è straordinariamente sordo alle nostre richieste di tenere in considerazione la sesta donna della statistica (e anche le tre milioni di coppie infertili).

 
Voglio raccontarvi perchè continuiamo, anno dopo anno, a tessere reti, a sorridere con i nostri volontari, a illuminarci di speranza ogni volta che apro una mail, come quella di oggi, in cui un operatore mi dice: “Voglio farlo anche io. Voglio essere consapevolezza”.

 

Alcune regione sono presenti dall’inizio nella rete di CiaoLapo, grazie agli sforzi di genitori e operatori soli che si sono avvicinati a CiaoLapo sposandone la visione sociale, il progetto culturale e di sviluppo sul territorio.

In queste regioni si è molto seminato, e si semina ancora oggi, nonostante condizioni climatiche spesso avverse, resistenze feroci da parte di Aziende Ospedaliere restie al cambiamento, di liberi professionisti ed altri detrattori, che ahinoi ci vedono come un cazzotto in un occhio (e noi ce ne facciamo una ragione, naturalmente).

 
Non possiamo piacere a tutti, anche perchè chiediamo cose che forse non sono per tutti: studiare e comprendere a fondo un fenomeno in tutte le sue multiple sfaccettature, interiorizzarlo e promuovere un cambiamento organizzativo, strutturale, culturale e sociale che accorci le distanze tra noi e altri paesi evoluti, dove sentirsi parte di una comunità è la regola e non l’eccezione.
 
So bene che è una richiesta spaventosa, per i difensori dello status quo. Me ne dispiaccio, ma continuiamo a seminare, e si continua a raccogliere, facendo in modo che ciò che raccogliamo basti per tutti
 

Alcune regioni sono ad oggi assenti, nonostante i genitori in lutto ci siano anche lì, soffrano, anche lì, spesso in totale solitudine e con la percezione di essere abbandonati da tutti, anche da Dio e dalle istituzioni. I cittadini di serie B, come mi ha scritto una volta una mamma abruzzese: “non contiamo, non esistiamo per nessuno”. Anche lì vogliamo arrivare, e iniziare a seminare consapevolezza. Non siete soli, spero che l’autunno ci porti un paio di operatori luminosi e illuminati.

 
Altre regioni sono partite bene, ma oggi vivono un momento di crisi: lasciare un piccolo gruppo di persone a organizzare sempre per tutti, senza offrire mai nessun aiuto, nè morale nè materiale, può creare molta fatica e una certa perplessità (per chi lo sto facendo?, mi scriveva una collega marchigiana), soprattutto se le istituzioni fanno melina, fingendosi interessate salvo poi abbandonare i progetti a mezza via, perdere il materiale donato, non fornire alcun supporto a chi volontariamente organizza incontri per la sua comunità di appartenenza.
Verrebbe da pensare di non appartenere ad alcuna comunità, se non sapessimo che le coppie colpite da lutto in gravidanza o dopo la nascita sono distribuite in tutta Italia.

 

Poi ci sono le sorprese, quelle che non ti aspetteresti, quelle che hai cercato di coltivare con pazienza, tra una risata e una lacrima, con un piccolo esercito di donne tenaci. Sono le donne che da sole, corrono coi lupi, e magari nemmeno lo sanno. Sono le donne che dopo avere perduto ciò che avevano di più caro al mondo, dopo essere state piegate dal dolore, si sono rialzate, e hanno iniziato a chiedere, in quanto cittadine, il loro posto nella loro comunità. Sono tante, sono sempre di più, scomode e bellissime, proprio perchè scomode.
Scombinatrici di status quo, coraggiose al punto di tenere lo sguardo dritto su chiunque e rivendicare un diritto che altre donne e madri hanno già rivendicato e ottenuto decine di anni fa in altri paesi europei e non.
 
 
E’ a queste donne, che va oggi il mio grazie. Quelle donne che si prendono il tempo che ci vuole, a volte anche un decennio, ma quando poi partono, partono sguardo dritto e spalle aperte e #noncenèpernessuno.

 

Perchè chi sposa una causa, chi comprende pienamente una causa, sentendosi parte integrante di essa , la sposa fino in fondo, e la porta avanti, con i mezzi che ha, con le poche risorse umane che ha, come può e con una generosità che la maggior parte delle persone oggi #selasognano.

 

Quindi grazie alle mamme, papà, associazioni, singoli professionisti, gruppi di donne che fianco a fianco celebreranno il BabyLoss Day con CiaoLapo in un sacco di città, cittadine, paesi e paesini, creando belle reti di sinergia, e soprattutto, aprendo la porta alle famiglie in difficoltà. Accogliendo il dolore di oggi, o il vecchio dolore congelato da anni, e iniziando a trasformarlo.

Il centro del Babyloss Day, per come è nato molti anni fa, e per come lo abbiamo promosso in Italia è proprio questo: unire sotto il segno della consapevolezza e dell’accoglienza genitori di oggi e di ieri,

operatori che desiderano migliorare l’assistenza, istituzioni in grado di essere davvero al fianco dei cittadini e promuovere un sostanziale cambiamento nella relazione con chi soffre per la perdita di un bambino atteso.
 
Il 15 Ottobre è dei cittadini, delle cittadine e riguarda tutti. Chi ci è passato e può offrire sostegno, chi ci sta passando e si sente perso, chi per lavoro incontra ogni giorno quella donna su sei e la sua famiglia.
 
 
Il 15 Ottobre è accoglienza e resilienza.
 
E’ #laconoscenzacheprotegge.
 
Siamo noi.
 

 

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