L’ostetrica e la morte in utero

by Claudia Ravaldi

Nicolas era un bambino bellissimo, con tanti capelli castani e delle orecchie tanto perfette da sembrare dipinte, ma questo sua madre non lo saprà mai.

Nicolas “era” perché la morte endouterina fetale esiste; ogni famiglia che sperimenta questo dolore tende a sentirsi sola nella sfortuna.

Non lo siete. Parlatene, cercate l’aiuto che vi serve, chiedete, e scoprirete che non siete soli.

Non siete diversi, il non avere tra le braccia vostro figlio non vi rende meno genitori degli altri.

La madre di Nicolas non avrà il ricordo di quelle piccole orecchie perché gli operatori che hanno assistito a quel parto sono stati colti di sorpresa dalla morte laddove ci si aspettava la vita; non sapevano che l’unica cosa che quella mamma avrebbe voluto in quel momento era vedere il suo bambino, che ne aveva il diritto e che ciò le sarebbe servito a creare un legame familiare con il figlio tanto atteso e, conseguentemente, a facilitarne il processo di elaborazione del lutto.

Fare l’ostetrica o il ginecologo la maggior parte delle volte significa accogliere la vita, accogliere un corpicino caldo e i rumori con cui viene al mondo; ma talvolta significa anche accogliere il silenzio, il dolore, lo smarrimento, la rabbia, la frustrazione, l’incredulità, l’incapacità di pensare al domani.

È un compito difficile, che ci fa scontrare con i nostri limiti di operatori sanitari e di esseri umani, che non si può improvvisare ma che, al contrario, necessita di una adeguata preparazione perché, se non correttamente adempiuto, può avere ripercussioni sulla vita di una intera famiglia anche anni dopo l’evento della perdita e sulla salute professionale dell’operatore stesso.

Grazie a CiaoLapo io ho capito che ciò che non si conosce non deve essere fonte di paura, ma di ispirazione per essere dei professionisti e delle persone migliori.

Le famiglie con cui ci rapportiamo ogni giorno meritano tutta la nostra conoscenza, la nostra competenza, la nostra disponibilità e la nostra gentilezza.

Non solo si può parlare alle mamme e ai papà di morte endouterina fetale, ma è fondamentale.

Non bisogna aver paura di usare parole comunemente considerate inopportune; bisogna istruire ed istruirsi, parlare di prevenzione, mantenere vivo il ricordo; perché fare luce laddove c’era il buio, condividere, partecipare, non smettere di sentire dentro di noi l’empatia, è la sola possibilità che abbiamo, in quanto medici e ostetriche, di prenderci cura del dolore.

Perché è vero che “non è possibile curare la morte, ma è possibile prendersi cura del dolore che resta” e fare la differenza nella vita dei nostri pazienti.

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Ringraziamo la dottoressa Graziana Cavone, ostetrica, per la sua importante testimonianza.

 

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