Una cattiva notizia ai tempi della pandemia

by Claudia Ravaldi

 
Riceviamo la testimonianza di una coppia. Il loro dolore per la malattia e la perdita si somma al dolore dell’isolamento e della solitudine.
 
“Io e il mio compagno abbiamo perso il nostro bambino. Abbiamo interrotto la gravidanza dopo aver scoperto la trisomia 18.
Oggi leggo che il paziente n.1 di Codogno è felicemente diventato papà. A noi queste notizie fanno male al cuore.
Ci spezzano. Come tutto.
Soprattutto perché nella realtà dell’aborto i papà non sono minimamente contemplati e fa male leggere di quel paziente 1 che è diventato papà perché la realtà è ben diversa, dei papà non gliene frega niente a nessuno!
È passata una settimana e 2 giorni e tutto per noi sembra finito.
Eravamo a 14+3.
Io sono sempre stata sola. Sempre. Il mio compagno è stato in macchina, come un cane.
Per il covid. Anzi no, per colpa del personale sanitario e dell’ignoranza che c’è sulla morte prenatale.
Perché il vero motivo è quello.
Non ce ne facciamo niente noi del fatto che sia nata Giulia e che il paziente n. 1, possa fare il papà. Beato lui!
Ma forse ci sono papà di serie A e papà di serie B?
L’ecografia dove ci dicono che la translucenza nucale era molto aumentata l’abbiamo eseguita, anzi l’ho eseguita (da sola), il 16 marzo.
Dopo lo shock delle parole pronunciate dal medico mi hanno permesso di chiamare il mio compagno.
Io avevo ricevuto la notizia da sola.
Lui non aveva nemmeno visto l’ecografia, e non ne avrebbe mai più viste. Eravamo in piena emergenza covid.
Il mondo ci è crollato addosso.
Veniamo inviati all’ospedale regionale di riferimento. Villocentesi. Colloquio coi medici. Trisomia 18.
Ho sentito tutto con le mie orecchie.
E solo con le mie.
Lui non è mai potuto entrare nelle struttura, non poteva nemmeno stare in sala d’attesa.
Ho provato più e più volte a chiedere se potevano farlo entrare spiegando il perché eravamo lì.
Nulla.
Il papà non conta nulla. L’utero era il mio.
Assurdo.
Il mio compagno è rimasto in macchina per giorni.
Il giorno dell’interruzione io e molte altre mamme di quel giorno eravamo tutte sole.
Tutte.
Alcune facevano l’IVG, ma non provavano meno dolore, ho visto i loro occhi, ho parlato con la mia compagna di stanza e ho sentito lo stesso dolore che provavo io, anche se lei quel bambino proprio non riusciva a tenerlo, era il 4 ed era senza lavoro.
Per me era il primo e lo desideravamo infinitamente e lo abbiamo anche atteso molto.
Ma poco importava. Eravamo tutte e due tristi allo stesso modo. E sole.
 
Com’è possibile che si possa perdere un bambino da sole? Ad oggi. Nel 2020.
Non ripetiamoci la storia della pandemia.
 
Io ero “solo” a 14+3, ma ho visto mamme il giorno prima essere ricoverate con pancioni tanto grandi ed essere sempre sole.
Eppure, nell’ospedale dove sono stata c’è un reparto apposta solo per le interruzioni di gravidanza.
 
A noi ora fanno male tante cose, tante. Ma l’urgenza era quella di dar voce a questa situazione perché rende il lutto ancora più doloroso e insostenibile.”

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