Stelle Cadenti – Affrontare il lutto dopo l’interruzione terapeutica di gravidanza

by Claudia Ravaldi
Luca Bertinotti

CiaoLapo non pretende di mettere in discussione la moralità della decisione di subire o no un’ interruzione terapeutica di gravidanza (ITG), ma vorrebbe piuttosto offrire un sostegno alle famiglie che hanno perso un bambino/bambina durante la gravidanza.

La decisione di fare un ITG e’ molto personale e ci sono tanti fattori (i consigli medici, la vita che avrebbe il bambino/a nel mondo, potenziale rischio di vita per la mamma, una società che ha difficolta’ ad accettare le differenze ecc.) che portano una famiglia a fare una scelta cosi’ dolorosa. Quindi, vi preghiamo di rispettare il dolore di coloro che avrebbero bisogno di sostegno.

(Una piccola avvertenza: non sono italiana per cui mi scuso per le mie imprecisioni linguistiche.)

Mi spiace darti il benvenuto in quest’angolino di Ciaolapo perche’ se sei arrivato/a qui, e’ probabile che tu o qualcuno che ami stia prendendo, o abbia gia’ preso, la difficile decisione di interrompere una gravidanza per motivi terapeutici.

Anche se la tecnologia migliora sempre di più la capacità di diagnosticare una malattia del feto (o di una donna in gravidanza), l’assistenza offerta, una volta ricevuta una diagnosi, spesso lascia a desiderare. I genitori che ricevono la diagnosi si possono sentire soli, senza sapere a chi sarebbe meglio rivolgersi per capire di piu’ della malattia o per capire come sarebbe mettere al mondo un bambino con la malattia in questione. E se i genitori si trovano nella posizione di dover considerare l’eventualita’ di una ITG si possono sentire ancora piu’ isolati per paura di essere malintesi o giudicati. La situazione e’ ulteriormente complicata da leggi di stato e dottrine religiose. Anche se tanti genitori davanti ad una grave diagnosi prenatale decidono di terminare la gravidanza (in Francia ci sono circa 5000 ITG/anno[1]), spesso quelli che lo fanno si sentono soli e/o colpevoli nonostante il fatto che abbiano preso la decisione per salvare il loro figlio da una vita fatta di dolore. Un assistente sociale americana, nella sua ricerca sull’argomento, cita, “Quando la perdita di una persona e’ il risultato diretto di una scelta propria, come una ITG, l’esperienza clinica mostra che queste persone credono di aver meno diritto a sentirsi in lutto. Pero’, queste perdite ‘di scelta’ sono spesso quelle piu’ impegnative in termini di capacita’ di elaborare il lutto con adeguato sostegno e tempo[2]”.

Quindi, Ciaolapo si impegna di offrire un piccolo angolo per farti sentire meno solo; per provare a sollevarti un po’ dal tuo dolore, per sentirti capito da qualcuno.

 

Vado io per prima…

1. La storia di una stella cadente

Alcuni anni fa, dopo un mese in cui avevo fatto circa 15 ecografie, una risonanza, e una amnio, sono andata all’estero con mio marito per far fare ulteriori esami, sperando di capire di che cosa soffriva il nostro bambino. Dopo aver fatto questi esami ulteriori, il medico curante ci ha detto che la situazione sarebbe stata valutata da un comitato di medici con un esito il giorno dopo. Quando siamo tornati dal medico curante, ci ha fatto un discorso, dicendo che il nostro era un caso particolarmente complicato perche’ non erano riusciti a capire esattamente cosa aveva il nostro bambino. Nonostante cio’, tutto il comitato era convinto che il bambino fosse affetto da/soffrisse di una malattia molto grave (hanno ipotizzato una malattia XYZ). Ci hanno fatto capire che sarebbe stato una vita di sofferenza, di esami, di interventi chirurgici, e che ci fosse un’alta probabilita’ di una vita molto breve.

E’ cosi’ ci hanno lasciato una ‘scelta’…una scelta terribile, difficile, triste, tragica, impossibile da prendere…solo che se loro ci avevano lasciato questa scelta, avevamo capito che era, in realta’, una specie di non-scelta.

Una scelta-non-scelta che ci seguira’ per tutta la vita…

Ma facciamo un passo indietro.

La gravidanza

Anche se la nostra gravidanza non e’ stata facilissima non c’erano segnali evidenti per farci pensare che il nostro bambino non stesse bene. Tutti gli esami del sangue, l’amniocentesi, le prime ecografie… erano tutti come sarebbero dovuti essere. Forse il bambino appariva un po’ piccolo in lunghezza, ma niente di allarmante. Quindi e’ stata una terribile sorpresa quando il nostro ginecologo ci ha informato che il cordone ombelicale aveva soltanto due vasi invece di tre (l’arteria ombelicale singola). Spaventata, ho subito consultato i dati disponibili online dove ho trovato la seguente informazione, “Da una meta’ a due-terzi dei bambini con un’arteria ombelicale singola sono nati sani e senza nessun anomalia cromosomica o congenita. Dei rimanenti bambini con un’arteria ombelicale singola, qualche ricerca suggerisce che circa 25% hanno difetti di nascita, incluse anormalità anche a livello cromosomico. [3] “. Noi pero’ fummo rassicurati da un feto-cardiogramma negativo dall’ecografia e dall’amniocentesi che confermavano la presenza di entrambi i reni e l’esclusione delle anormalita’ cromosiche piu’ comuni. Quindi, circa una settimana dopo la scoperta dell’arteria ombelicale singola, il medico ci disse che avremmo potuto “respirare tranquillamente”.

Qualche settimana dopo tornammo dal ginecologo per il controllo mensile. Non dimentichero’ mai il suo viso quando ha iniziato a leggere le misure dell’ecografia. Iniziò a sudare, piccole gocce sulla fronte e all’improvviso io non riuscivo piu’ a respirare. Qualcosa non andava. C’era qualcosa che non andava. Ma il nostro bambino era perfetto: cosa poteva non andare?

In pochi minuti abbiamo capito che il bimbo stava crescendo in modo sproporzionato. Il medico disse di non andare in panico; forse era “solo” un IUGR causato dall’arteria ombelicale singola. Ha provato a rassicurarci con storie simili a lieto fine, ma ci ha anche fatto capire che c’era un’altra possibilita’: quello che non volevamo neanche immaginare. Ma ci volevano almeno dieci giorni prima di poter rimisurare il bimbo. I dieci giorni piu’ lunghi della mia vita.

Mi ricordo di aver sentito come se ci fosse stata una nebbia fitta fitta intorno a me. Ero convinta che non stesse succedendo proprio a noi. Ero convinta che c’era stato un errore e che tutto andava bene, benissimo. Ero convinta che tutto andava male e non sapevo dove girarmi.

Siamo andati avanti cosi’ per i giorni successivi: uniti come coppia; isolati dal mondo; pieni di speranza, di disperazione; stanchezza; rabbia; confusione. Ogni calcio sentito nella pancia era una punizione per pensare al peggio; ogni calcio ci ha portato la speranza che lui stesse bene, benissimo.

Durante l’attesa, avremmo sentito il parere di almeno 10 medici da tutto il mondo e il verdetto variava da “probabilmente un IUGR” fino a “60% di possibilita’ di un handicap mentale, per non parlare dell’aspetto fisico. E’ stata pero’ una neo-natologa italiana a dipingerci il quadro piu’ terrificante: 0% di probabilita’ di normalita’; 40% di probabilita’ di problemi mentali; e 99% di probabilita’ di gravi problemi fisici.

A quel punto non potevamo che iniziare a chiederci: e’ giusto mettere al mondo un bambino con cosi’ tanti elementi contro di lui?” “E’ giusto far soffrire un’altra persona cosi’ tanto?”

Da qualche parte avevo letto questa domanda: “se un camion stesse per investire tuo figlio, lo lasceresti dov’e’?” Ma cosa fai quando il camion e’ la vita che volevi offrirgli?

Su richiesta della genetista che ci seguiva (una persona straordinaria), siamo andati a fare ulteriori esami e anche se dagli esiti non risultava comunque una diagnosi precisa, abbiamo capito lo stesso che c’erano troppi segni contro di lui, contro di noi. Ma sempre sperando di scoprire la malattia (o no) che il nostro bimbo portava, siamo andati perfino in un ospedale all’estero specializzati in problemi pre-natali, dove avrebbero fatto un esame particolare per esaminare le ossa del bambino[4]. Dopo di aver fatto gli esami consigliati, il nostro dossier e’ stato consegnato a un’equipe dei medici specializzati ed e’ stata l’equipe a darci la diagnosi: e per quest’equipe, c’era solo una scelta da fare… [5]

Come così tanti genitori che prendono le decisioni difficili in merito al futuro dei loro figli, anche noi abbiamo dovuto farlo. Ma e’ possibile prendere una decisione cosi? Come puoi prendere una decisione quando non c’e una scelta “giusta”? E cos’e’ veramente giusto e per chi?

La Scelta Presa

Tutto ha iniziato a muoversi in fretta, con troppa fretta. E’ come se il tempo, rimasto fermo per un mese, avesse iniziato a correre.

Tre giorni dopo l’esito dell’incontro del comitato, dopo tante ore di pianto, di dolore, di dubbi, il giorno e’ arrivato. La notte prima di entrare in ospedale ho mangiato un gelato: sua ultima cena (come si fa?). Un venerdì mattina pieno di sole, siamo entrati in ospedale (ma non dovevamo entrare nel reparto maternita’?). Abbiamo trovato un’altra bellissima, tristissima coppia nella nostra stessa stanza (perche’ questo succede anche agli altri?).

Quel giorno stesso, hanno iniziato la procedura medica. E’ stata, senza dubbio, la mattina piu’ tragica delle nostre vite. Non riesco a mettere in parole quello che ho vissuto: ne’ dentro, ne’ fuori. Lo stesso pomeriggio sono stata dimessa per andare a dormire la notte in albergo. Come posso descrivere come mi sono sentita durante quelle 24 ore? Non credo che esistano parole per descrivere quando non senti piu’ i calci; quando sai che e’ “tua culpa”; quando la gente ti vede incinta ma sai che tuo bambino che non respira piu’… Se avessi potuto andare io al posto suo.

Il giorno dopo siamo rientrati in ospedale e domenica mattina, dopo sei ore di travaglio, il nostro bambino era ‘nato’. Quello che aspettavamo da mesi. Abbiamo voluto tanto vederlo. E come tutti i genitori, siamo convinti che lui fosse il bambino piu’ bello al mondo. Quello che aspettavamo da mesi. Solo che non ha pianto. Non abbiamo visto i suoi occhi. E chi mai potrebbe aspettarsi questo?

Affrontando la perdita

Neanche un giorno passa in cui non penso a lui. Neanche un giorno passa senza che mi chiedo se ci sarebbe potuto essere un miracolo per averlo qui con noi –sano e contento. Neanche un giorno passa che non mi chieda se abbiamo fatto la cosa giusta…Non posso mentire: me lo chiedo ancora. Una persona speciale che lavora con i bambini malati e mi ha detto, “nella vita ci sono certe cose che non riuscirai mai a mettere a posto, di accettare…ma devi sapere che se lui fosse qui con voi, sarebbe ancora piu’ difficile mettere le cose a posto: per lui, per voi, e per le vostre famiglie.” A livello razionale, so che ha ragione: abbiamo preso l’unica decisione che avremmo potuto prendere. Cosi’ soffriamo noi al suo posto. Come tutti i genitori. Soffriamo noi per dare pace a lui.

Amore e Risposte

Leggo spesso delle donne che si trovano davanti a delle persone che giudicano invece di aiutare e non sai quanto mi dispiace. La gente non puo’ pretendere di capire una decisione di questo tipo. Nessuno la prende alla leggera. Nessuno la prende per motivi eugenetici. Ho parlato con tante mamme che hanno preso questa decisione. Nessuna di loro dice “sono contenta di averlo fatto”, al massimo dicono “almeno non soffre lui/lei”. E’ quindi e’ importante notare che nella sfortuna abbiamo anche avuto fortuna. Quasi tutti i medici e infermiere intorno a noi hanno mostrato una professionalita’, una sensibilità, un senso di umanita’ senza i quali non so se avremmo potuto farcela. Hanno fatto di tutto per aiutare il bambino e anche noi.

E saremo sempre grati alle nostre famiglie e agli amici che ci sono stati vicini, offrendo amore, rispettando le nostre scelte e condividendo il nostro dolore.

Condivido una frase che mi ha aiutato tanto quando stavo cercando delle risposte, delle giustificazioni, del sostegno:

Chiaramente, l’aborto, dal punto di visto di Buddismo…

e’ negativo, parlando in generale. Ma dipende dalla circostanza.

Se il bambino non è ancora nato, sarà ritardato mentalmente

oppure se la nascita causera’ gravi problemi ai genitori, questi

sono casi in cui si possono fare delle eccezioni. Credo che

ogni aborto debba essere approvato o disapprovato secondo

la circostanza.

–Dalai Lama, New York Times, 28/11/1993

+++++++

 

2. Prima di prendere una decisione[6] :

Una volta che la parola “interruzione” entra nella tua/vostra vita, siete buttati in un mondo di confusione, tristezza e speranza. Quando scoprite che il bambino in utero sta soffrendo di una malattia grave (mentale, fisica o entrambe delle cose), dovete affrontare una scelta che non ha una soluzione “facile”, “semplice” o “corretta”. Potete scegliere di mettere il bambino al mondo con questo handicap/ Forse scegliete di accompagnare il bambino al termine della sua vita se non e’ in grado di vivere (approffitando di una cura palliativa). Forse portate avanti la gravidanza a lasciate che il bambino venga adottato. O forse scegliete di interrompere la gravidanza.

Potete decidere di interrompere la gravidanza, perche’ credete che non sia giusto mettere un bambino al mondo per soffrire oppure non vi sentite in grado di curare un bambino in un mondo dove le differenze e le sofferenze non sono sempre apprezzate, oppure non credete di avere abbastanza assistenza disponibile (medica, finanziaria, emotiva ecc.) per poter aiutare un bambino gravemente handicappato in questo mondo. La decisione e’ molto personale e dovrebbe essere presa con cura e cautela e, dov’e’ possibile, senza l’influenza delle persone all’esterno della coppia/mamma.

Se doveste scegliere di interrompere la gravidanza, prendete tutto il tempo che serve per prepararvi sia a livello emotivo che pratico per la nascita/perdita del tuo/a bambino/a. Rimane ancora del tempo da trascorrere con il vostro/a figlio/a; per dirgli quanto lo/la ami; di sentirlo/la ancora dentro la pancia. E’ comunque normale vivere una miriade di sentimenti durante questo periodo: desideri che finisca in fretta, rabbia, senso di colpa, amore incredibile per il vostro bambino, voglia di fermare il tempo. Anche se può sembrare innaturale è importante provare ad apprezzare questi ultimi momenti assieme al vostro bambino/a.

Può anche essere il momento per decidere se volete vedere vostro figlio/a dopo la “nascita”. E’ spesso consigliato di “vedere il tuo bambino/a, tenere il tuo bambino/a in braccio, dare al tuo bambino/a un nome. Il lutto e’ un passo fondamentale nell’accettare e nel ritrovarsi dopo la perdita e sarebbe difficile essere in lutto per un bambino/a senza nome o che non hai mai visto. [7]

Inoltre, potreste anche decidere di:

-dargli/le un nome (se non l’avete gia’ fatto);

-fargli/le delle foto dopo la “nascita’”;

-presentarlo/a anche alle vostre famiglie;

-comprarlgli/le un vestitino speciale;

-preparare una cerimonia in sua memoria (oppure avere un funerale vero e proprio dov’e’ consentito)

Questi non sono pensieri o desideri morbosi. Queste sono domande che avete diritto di farvi e sono delle decisioni che tutti i genitori avrebbero diritto di prendere.

Affrontare questi argomenti in anticipo potrebbe aiutarvi ad essere più sereni al momento dell’arrivo di vostro/a figlio/a. Comunque, potete sempre cambiare idea quando sarà ‘nato/a’: anche questo e’ un vostro diritto.

3. Dopo l’ITG – Sostegno psicologico e emozionale

Essendo un argomento molto “politicizzato” e su cui si trova poca letteratura, tanti genitori che subiscono un’interruzione terapeutica credono di essere gli unici. Temono inoltre di essere giudicati male dagli altri e quindi si “chiudono dentro”. E anche se non e’ necessario spiegare tutto a tutti, nella poca ricerca che ho fatto sull’argomento, ho notato che quasi tutte le persone che avevano deciso di aprirsi e parlarne si sono trovati sostenuti da persone piu’ che comprensive. Una mamma americana racconta di non essere voluta andare ad un incontro in chiesa perchè si sentiva “arrabbiata con Dio per averle presentato una scelta del genere” e temeva di essere giudicata dagli altri. Invece un’amica l’ha forzata di andare e dopo lei l’ha ringraziata perche’ queste serie di incontri le ha salvato la vita[8].

Quindi ricordatevi che puo’ essere utile parlarne con degli amici/colleghi/famiglia “strategici” che possono darvi sostegno durante il periodo difficile del lutto. Non e’ da sottovalutare quanto sia importante sentirsi capito e poter condividere il dolore.

Sarebbe importante anche notare che spesso la gente non capisce la profondita’ del vostro dolore se non glielo spiegate. La gente tende ad evitare di parlare della vostra esperienze perche’ a) non vuole causarvi ulteriore dolore oppure b) non sa come trattare l’argomento. Potreste scoprire che, soltanto con un po’ di sforzo, fra poco tempo, sarete circondati da un piccolo ma importante gruppo ‘di sostegno’.

E’ inoltre fortemente consigliato di parlare anche con un analista/psicologa durante il difficile periodo di lutto .

4. Dopo l’ITG – Tuo bambino nella tua vita

Spesso, e’ utile mantenere delle cose tangibili, come ricordo, di una persona cara che hai perso. Noi genitori che abbiamo perso nostro bambino/a in utero abbiamo cosi pochi ricordi delle loro ‘vite’ che quelli che abbiamo diventano ancora piu’ preziosi.

Ecco qualche suggerimento in piu’ per conservare la memoria del tuo bambino/a:

-creare una scatola dei ricordi (le foto dell’ecografia; le foto fatte in ospedale; il bracciale dell’ospedale; un elenco dei cibi che hai mangiato durante la gravidanza; un peluche che avevi comprato).

-comprare/far fare una collana che ti faccia pensare a lui/lei

-fare un album con dei ricordi di lui/lei

-appendere una foto di lui/lei in casa

-mettere il suo nome su una lapide funeraria

-piantare un albero in sua memoria

-fare una donazione in sua memoria (i.e. ricerca per la malattia che lui/lei portava)

-partecipare agli eventi di Ciaolapo; utilizzare i forum

– parlando del tuo bambino/a puo’ farti sentire piu’ vicino a lui/lei

Il tuo bambino/a e’ stato un presenza vera nella tua vita e dovresti sentirti libero/a di parlare di lui/lei quando vuoi. Come me.

-In memoria della nostra stella cadente: sei sempre con noi

e

-Per il nostro sole: la vita e’ anche piena dei miracoli

 


[1] http://www.france5.fr/sante/connaitre/grossesse/W00549/4/

[2] McCoyd, Judith L. M.,. Pregnancy interuppted: loss of a desired pregnancy after diagnosis of fetal anomoly. Journal of Psychosomatic Obstetrics & Gynecology, March 2007; 28(1): 37 – 48. Bibliography 59. Doka KJ, editor. Disenfranchised grief: Recognizing hidden sorrow. Lexington, MA: Lexington Press, 1989 p. 368.

[3] http://www.womens-health.co.uk/sua.asp

[4] Quest’esame e’ proibito durante la gravidanza in tanti paesi, italia inclusa, perche’ si utilizza della radiazione ed e’ quindi sconsigliato per il potenziale rischio al feto.

[5] Per informazione sulla normativa in Francia http://fr.wikipedia.org/wiki/Interruption_médicale_de_grossesse. L’ITG e’ considerato una procedura medica, ed e differenziata da un interruzione volontaria della gravidanza dalla valutazione medica e la possibilita’ di farlo in terme.

[6] Ringraziamo il sito www.petiteemilie.org per aver dato spunto a questa parte del testo e per il permesso di riprodurlo qui sopra.

[7] Editore: Workman. Murkoff Heidi, Eisenberg Arlene, Hathaway B.S.N., Sandee. What to Expect When You’re Expecting. 2002; p. 529

[8] Storia letta su un sito americano dedicato alle ITG (nome del sito disponibile su richiesta)

 

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1 comment

Marisol Mirabelli 16/04/2021 - 17:44

Grazie per il vostro lavoro, supporto, testimonianze.
Io ho “scelto” di fare una ITG alla 13° settimana per un grave quadro malformativo associato a trisomia 18. Era giugno 2019.
Sono una neuropsichiatra infantile quindi consapevole di cosa significhi una vita con disabilità.
Non sono cattolica.
Era la terza gravidanza, avevo altre 2 figlie.
Ho fatto una scelta consapevole. Ho fatto quello che ho sempre pensato avrei fatto “in caso di…”. Mi sono spesso ripetuta che era la scelta da fare, che non avevo altra scelta…e cosi mi hanno detto anche molte persone vicine, amici e colleghi.
Eppure il senso di colpa è dentro di me e so che non mi lascerà mai. È stata comunque una scelta attiva e so che potevo scegliere di non farlo.
Leggere “cosi soffriamo noi al suo posto…soffriamo noi per dare pace a lui” mi ha colpito molto…mi ha dato la sensazione di poter trovare prima o poi un senso a quanto accaduto. Continuerò a sentirmi in colpa. A pensare che avevo troppa paura di non sopportare la sua sofferenza o di crearne troppa alle sorelle o di trovare ingestibile la mia. Ma ora proverò a pensarmi anche come una madre che ha solo provato a fare quello che provano a fare tutti i genitori: prendersi tutta la sofferenza al posto del proprio figlio.
Grazie

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