Mettiamoci la faccia

by Claudia Ravaldi
CiaoLapo Onlus
CiaoLapo Onlus

“Mettiamoci la Faccia” è la campagna di sensibilizzazione sociale e promozione della consapevolezza sul tema del lutto perinatale che CiaoLapo ha ideato e cura dal 2011, giunta quest’anno alla sua seconda edizione. 

L’obiettivo di Mettiamoci la Faccia è favorire la consapevolezza personale e sociale di chi è colpito da un lutto perinatale, dei suoi familiari, amici e della propria comunità di appartenenza.

 

Storie di lutto perinatale oltre il tabù

Cosa significa consapevolezza?

“Consapevolezza significa “cognizione, presa di coscienza”.
Questa parola denota un fenomeno estremamente intimo, e di importanza cardinale.
La consapevolezza è una condizione in cui la cognizione di qualcosa si fa interiore, profonda, perfettamente armonizzata col resto della persona, in un uno coerente. È quel tipo di sapere che dà forma all’etica, alla condotta di vita, alla disciplina, rendendole autentiche.

La consapevolezza non si può inculcare: non è un dato o una nozione. È la costruzione originale del proprio modo di rapportarsi col mondo – in quanto sapere identitario, davvero capace di elevare una persona al di sopra dell’ignoranza e della piana informazione. È il caso della consapevolezza del dolore, che rende compassionevoli e gentili; della consapevolezza di essere amati, che rende invulnerabili.

(unaparolaalgiorno.it)

 

Per CiaoLapo, per i suoi fondatori, per i professionisti e per i genitori che compongono il comitato scientifico e il nucleo operativo dei volontari, promuovere la consapevolezza riveste un ruolo centrale sia per l’elaborazione del lutto, sia per la prevenzione del disagio psicosociale, più frequente di ciò che si voglia credere.

Consapevolezza significa non solo, ma anche, illuminare un angolo buio nella nostra coscienza collettiva.

Significa fare luce su un argomento spaventoso e complesso che viene tenuto ai margini della società, della formazione accademica, dei dialoghi tra famiglie e delle coppie.

CiaoLapo lavora per rendere “visibile” l’assenza che accompagna molte famiglie colpite da lutto per un tempo ben maggiore di quello socialmente accettato; lavora per rendere “dicibile” il vissuto del lutto e l’esperienza di elaborazione che le famiglie fanno spesso in solitudine e con grande fatica, perchè lasciate a se stesse; significa rendere possibile la narrazione di un’esperienza che rappresenta un arcaico tabù sociale per trasformarla in patrimonio culturale di tutti, e dunque in risorsa condivisa. 

Metterci la faccia è stato per molti di noi un modo per occuparsi responsabilmente del lutto e di ciò che ne consegue nella vita di tutti i giorni, nei progetti a medio e lungo termine. Metterci la faccia è stato un modo per rialzarsi e camminare sulle proprie gambe, a testa alta, senza sentirsi apolidi in patria, finalmente liberi di essere in lutto e poi di non esserlo più, a seconda dei casi, del tempo, delle circostanze. Liberi. Metterci la faccia è anche una richiesta precisa alla nostra società, ai nostri microcosmi: non nascondere ciò che è accaduto, non nascondere ciò che sono. Non ignorare mio figlio. Non minimizzare gli sforzi che faccio ogni giorno per non sgretolarmi, e continuare a vivere.

Il silenzio spaventato e indifferente del tabù non è una risorsa. 

I genitori in lutto, a parte qualche piccola occasione di incontro e condivisione, faticano a trovare spazio per essere loro stessi, lutto compreso. La condivisione e una buona risposta sociale possono contribuire a trasformare il dolore in risorsa esperienziale e patrimonio condiviso, utile per tutti, generazione dopo generazione.

Il tabù ostacola la resilienza e promuove la genesi del lutto complicato, del disagio psicologico e della malattia, che nulla hanno a che vedere con un naturale percorso di lutto. Che è dolore dinamico. E’ trasformazione, evoluzione, fatica, scoperta. Nulla a che vedere con la fissa immobilità del vissuto depressivo. Il lutto e il cordoglio sono una cosa, la depressione un’altra. Se vogliamo occuparci bene di tutte e due queste situazioni, non dovremmo confonderle, mai. Conoscerle, questo sì. Distinguerle, magari. Evitare che dal lutto lasciato a se stesso nasca la depressione, è l’ideale cui tendiamo. Anche promuovendo la consapevolezza di una società senza parole per il lutto (e senza parole per la depressione, peraltro). Una società muta, spaventata, chiassosa nella sua indifferenza.

Mettiamoci la faccia è un racconto di immagini e parole. Molte coppie hanno partecipato al progetto scegliendo con cura le immagini da condividere e le parole per raccontarsi.  Centinaia di racconti diversi, di facce diverse, di uomini, donne, neonati, bambini microscopici, piccolissimi, piccoli, centinaia di storie. Una storia di storie d’amore. Vale sempre la pena, ascoltare storie d’amore. Anche quando il finale non è certo. Ma possibile.

Nella campagna di sensibilizzazione che da oggi fino al 31 ottobre si svolgerà su www.babyloss.info, il sito ufficiale del Pregnancy and Infant Loss Awareness in Italia, troveremo una parte delle storie che ci sono pervenute. Ci mettiamo la faccia e mostriamo un pezzetto di lutto alla società che non vuole vederlo, e pur tuttavia ci vede ogni giorno (la suocera, il datore di lavoro, la ginecologa del distretto, la psicologa del servizio, la mamma del compagno di scuola del nostro primogenito, la nostra migliore amica). Condividiamo un pezzetto di lutto e già sarebbe meraviglioso se dopo avere visto il progetto le persone smettessero di esortarci a “sforzarci”, a “tornare quelle di prima” a “non pensarci più”.

La consapevolezza e l’amore, forse, sono la stessa cosa, perché non conoscerete niente senza l’amore, mentre con l’amore conoscerete molto. (Fëdor Dostoevskij)

 

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