Fatene un altro!

by Claudia Ravaldi

Quando ne rifate un altro? Siete così giovani!” “Fategliela questa  sorellina!” “Dai, su, mettetevi subito all’opera, sennò non ne fate neanche uno!” “Non state a piangervi addosso!” “Morto un papa, se ne fa un altro!”

Queste sono solo alcune delle frasi che vengono dette ai genitori in lutto dopo la morte del loro bambino, sia che sia solo un embrione, o un bambino “già tutto formato”, come purtroppo si sente ancora dire spesso quando si parla di un bambino nato morto.

Insieme a Diletta Arzilli, psicologa e psicoterapeuta volontaria di CiaoLapo Onlus, riflettiamo su questo tema delicato, che può essere ulteriore fonte di ansia o di confusione per i genitori colpiti da lutto perinatale.

 Queste frasi (e molte, molte altre!) sono spesso dette in buona fede, ma con scarsa consapevolezza degli effetti che possono produrre in una famiglia in lutto..sì, perché la morte durante la gravidanza o nel periodo peri-natale è a tutti gli effetti un lutto, e comprende così tutta quella serie di reazioni che caratterizzano il percorso dell’elaborazione del lutto (e come tale, ha una durata variabile da sei mesi a circa due anni)

Quelle parole, dette magari dall’ostetrica, dal ginecologo, dalla testimone di nozze, dalla suocera, dalla migliore amica, dalla vicina o dal collega, risuonano nelle teste e nei cuori affranti dei genitori. Così che arrivano, non solo con il cordoglio, la disperazione, la rabbia e la tristezza, che sono “normali”, ma anche con quella domanda, a volte nascosta, a volte resa esplicita dai più “coraggiosi”: “Quando ci possiamo riprovare? Ma se non abbiamo voglia nemmeno di sfiorarci con un dito? Ma dobbiamo? Ma quando? È normale? È meglio farlo subito o aspettare? Non ce la faccio ad aspettare”

Quando è il momento giusto? E qual è, il momento giusto?

Non c’è sicuramente una risposta univoca che vada bene per tutti indistintamente.

La scelta di una nuova gravidanza (o la possibilità di un’adozione) è la scelta di una coppia, all’interno del suo percorso unico e specifico, da fare in sinergia con l’equipe curante.

I medici che si occupano di morte perinatale danno questa indicazione di massima: attendere almeno sei-dodici mesi (a seconda del tipo di parto e dello stato generale di salute della mamma) dopo un parto, e qualche mese dopo un aborto precoce, prima di intraprendere una nuova gravidanza.

Un consiglio invece che viene dalle mamme che l’hanno vissuto di persona è aspettare almeno 4 mesi dopo la perdita per non sovrapporre i tempi delle due gravidanze (ripercorrere le tappe delle due gravidanze è fonte di stress, preoccupazione e ricordi intrusivi ancora più disturbanti).

I genitori in lutto spesso si chiedono perché così tanto tempo: se non ricevono le giuste spiegazioni infatti su come è il lutto e su come “lavora”, è difficile che possano comprendere a pieno a che serve tutto quel tempo, e possono pensare che sia tempo sprecato.

In realtà questo tempo serve per molti motivi: 

– è il tempo degli esami medici, per capire le cause di morte nella gravidanza precedente, e per ovviare a eventuali problemi presenti o individuare fattori di rischio

-è il tempo del confronto con altri genitori che ci sono passati e con il proprio dolore, perché la nuova gravidanza non sia il bisogno di riempire un grosso vuoto (sia a livello biologico che psicologico)

– è il tempo di recupero del fisico della madre e dell’equilibrio psicologico del singolo, della coppia e della famiglia, perché iniziare una nuova gravidanza, dedicarsi al bambino morto e a eventuali fratelli presenti richiede molte energie psicofisiche

 Non bisogna infatti  sottovalutare certi aspetti che sono invece  molto comuni (e molto stressanti) nella nuova gravidanza: il senso di vuoto e la mancanza del bambino precedente si alternano alla gioia della nuova attesa; ad esse si accompagnano paura che qualcosa vada male, ancora una volta, paura del futuro, incertezza, rimorsi. Rispetto alla gravidanza precedente, i genitori si lasciano con difficoltà andare a sogni, speranze, fantasie: “cercate di non attaccarvi troppo” dicono i “soliti” amici.

Eppure, sappiamo bene quanto il legame  tra il bambino e la sua figura di attaccamento nasca fin dalla gravidanza; il bambino prende forma già nell’immaginario e nel desiderio familiare.

A questo punto allora cambierei domanda: “Quanto mi sento di poter far spazio a questo bambino? Non solo nella mia pancia, ma anche nella mia testa e nel mio cuore? Nei miei desideri, nelle mie speranze?”

Perché i bambini, tutti, quelli che ci sono, quelli che non ci sono più e quelli che non ci sono ancora,  hanno bisogno di spazio, non solo fisico, ma anche mentale! Uno spazio per essere conosciuti e riconosciuti come unici, per quello che sono e per essere amati, nella loro unicità.

Una delle paure più grandi dei genitori con una nuova gravidanza è di non riuscire ad amare i figli nello stesso modo, o di togliere qualcosa al bambino morto.

Eppure elaborare il lutto è collocare la persona che non c’è più in un suo spazio, che non invada tutti gli altri, e che non sia invaso da altri: un posto da proteggere e coccolare, perché lì si rende vivo l’amore in assenza. E anche gli altri bambini che verranno, fisicamente presenti, avranno bisogno dei loro spazi, delle loro coccole e delle loro attenzioni, che saranno solo per loro.

Ma quanto è difficile!

Cosa possono fare allora i genitori in attesa del momento giusto per tornare ad essere in attesa? 

Mi verrebbe da dire che non c’è da fare proprio niente, nessuna ricetta prestampata, nessun consiglio specifico: piuttosto,  c’è da stare, da soli e come coppia (e anche in gruppo proprio come facciamo al gruppo AMA), con le proprie sensazioni, comunicarsele, ma rispettare anche i silenzi, darsi tempo e dare tempo all’altro…

Sembra quasi un ossimoro in una società come la nostra sempre in corsa e in competizione per arrivare in prima posizione, ma davvero darsi tempo e fare spazio, nel proprio cuore e nella propria vita può aiutare a capire quando per quella coppia è “il momento giusto”.

 “Ri-conoscere il nuovo bambino è più facile se abbiamo trovato il giusto spazio psichico per il bambino scomparso” (C. Ravaldi)

 

 

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