Le mamme speciali: la genitorialità dopo un lutto perinatale

by Claudia Ravaldi

Pubblichiamo con molta soddisfazione l’Intervista alla dott.ssa MP Valentina Giuliano, che si è laureata con noi in antropologia con uno studio sulle “mamme speciali”: cosa sono, chi sono, e perchè vanno sostenute.

Il progetto di ricerca, durato un anno e condotto attraverso il metodo etnografico, ha portato alla luce le pratiche commemorative e dell’esercizio della genitorialità nelle famiglie che hanno vissuto l’esperienza del lutto perinatale nell’area di Bologna e provincia.

Un capitolo introduttivo è dedicato alla questione metodologica, dove ho affrontato la genesi della ricerca e le strategie messe in atto per comunicare con le famiglie, in particolare con le madri.

Quali sono le tematiche principali della tua tesi?

Le tematiche fondamentali sono: i processi di costruzione della memoria, le strategie di adattamento al lutto perinatale e il mutamento degli equilibri all’interno del contesto familiare. La mia tesi indaga le pratiche commemorative impiegate da coloro che hanno perso un figlio durante la gravidanza o poco dopo la nascita; ho condotto una ricerca di campo nel territorio bolognese, con la collaborazione dell’associazione L’AURorA che si occupa della tutela del lutto prenatale e perinatale e opera sul territorio insieme a CiaoLapo. Ho frequentato per un anno il gruppo di auto mutuo aiuto dell’associazione e partecipato alle feste da esso organizzato.

Come è nato il tuo interesse per questo argomento culturalmente negletto?

Mi sono “imbattuta” nella realtà del lutto perinatale in maniera casuale durante l’autunno del 2014, in occasione di una visita d’interesse artistico al Cimitero della Certosa di Bologna; ho notato la presenza di uno spazio, all’interno di un cortile, dedicato alle sepolture dei bambini nati morti o deceduti poco dopo la nascita. Sulle loro tombe erano presenti pupazzi, foto e fiori. Ero decisa ad approfondire la questione: in principio ho cercato la presenza di eventuali sportelli di supporto psicologico per i genitori colpiti dal lutto perinatale all’interno degli ospedali ma non ne ho trovati. Esistono infatti gruppi di auto mutuo aiuto per coloro che hanno perso un familiare o amico, per i genitori di vittime di incidenti ma non ci sono sportelli di supporto psicologico dedicati al lutto perinatale. Ho trovato però che questo “stridesse” con la pratica di seppellire i bambini nel cortile della Certosa e di dedicare loro appositi riti funebri. Infatti la presenza di fiori freschi e di ornamenti sempre nuovi sono la testimonianza che esiste una pratica commemorativa “sommersa” dedicata ai bambini morti prematuramente.

Come hai deciso di approfondire l’argomento?

Ho indagato sul web e ho scoperto che in Italia esiste CiaoLapo, un’associazione per la tutela e la prevenzione del lutto perinatale. È stata fondata da Claudia Ravaldi, un medico psichiatra che ha perso il proprio figlio, Lapo, durante la gravidanza. È stata Claudia per prima a definirsi un “genitore speciale”; in una delle sue pubblicazioni (Ravaldi 2014) ha chiarito anche che l’aggettivo “speciale” è da intendersi in senso etimologico e cioè sta ad indicare l’appartenenza ad un genere specifico, in questo caso quello dei genitori che hanno perso un figlio ma che continuano a sentirsi fortemente legati ad esso.

Questa accezione dell’aggettivo “speciale” è diventata piuttosto comune negli ultimi anni tra coloro che hanno perso un figlio in età perinatale, che si definiscono così mamme e papà “speciali”.

Ho inoltre preso parte agli incontri del gruppo di auto mutuo aiuto dell’associazione L’AURorA dall’autunno del 2015 fino all’estate del 2016 e ho osservato molti aspetti interessanti circa il loro modo di vivere la genitorialità in seguito alla perdita di un figlio.

Il lutto viene condiviso all’interno della famiglia, tra i partner e con gli eventuali altri figli.

Ho notato però che le pratiche commemorative vengono portate avanti soprattutto dalle donne, anche la frequentazione del gruppo è stata tutta al femminile durante la mia ricerca di campo. Soprattutto per le donne, infatti, il gruppo di auto mutuo aiuto costituisce un luogo sicuro nel quale trovare conforto e mantenere viva la memoria del proprio bambino attraverso la narrazione. Nei casi di lutto perinatale, infatti, la mancanza di un vissuto condiviso con il nascituro priva i genitori di una memoria dalla quale attingere per trovare conforto. All’interno del gruppo le “mamme speciali” riescono però a costruire una memoria collettiva “al di fuori della pancia” attraverso la condivisione di esperienze comuni. Per questo motivo il gruppo di auto mutuo aiuto si configura per le “mamme speciali” come una seconda famiglia, spesso da preferire a quella d’origine. Esistono però degli eventi durante il corso dell’anno in cui le mamme e i papà “speciali” s’incontrano per commemorare insieme i propri figli: è il caso del Babyloss e della festa di primavera. In entrambi i casi si tratta di eventi abbastanza festosi e carichi di emotività. Nei casi in cui l’attesa dell’arrivo di una nuova vita viene interrotta da una morte improvvisa, i genitori si sentono inermi e confusi. Spesso non sanno cosa fare perché non esiste una ritualità consolidata per questo tipo di perdita. Ho constatato che esistono diverse tipologie di pratiche funebri portate avanti dai genitori speciali ma la più comune è il ricorso alla materialità. Attraverso gli oggetti infatti i genitori riescono ad “attivare” una relazione con il proprio bambino defunto e a mantenerla nel corso del tempo. La frequentazione delle tombe durante le quali si deposita un fiore o un giocattolo sulla sepoltura del piccolo e l’acquisto di regali di Natale per il proprio figlio sono alcuni dei modi attraverso cui i “genitori speciali” sentono di prendersi cura dei propri figli scomparsi.

Si tratta di pratiche non convenzionali e spesso poco o per nulla conosciute; i “genitori speciali” spesso infatti si sentono soli nel loro dolore e hanno difficoltà a comunicare con gli “altri”, cioè con coloro che non hanno condiviso la loro stessa esperienza di vita. Bisogna tener presente, infatti, che in diverse culture, compresa la nostra, i bambini entrano a far parte del mondo degli adulti attraverso differenti tipologie di riti di passaggio che si configurano come una seconda nascita, la nascita sociale. Prima che questo avvenga però, i bambini si trovano in una zona liminale, al di fuori della comunità del mondo degli adulti. Potremmo dire che nei casi di lutto perinatale non avviene la nascita sociale e il bambino rimane così in un limbo, fino ad essere dimenticato.

Ma i “genitori speciali” desiderano sottrarre all’oblio il ricordo dei loro bambini e per questo motivo attraverso le pratiche funebri e l’attivazione di una memoria collettiva possono procedere nell’elaborazione di quella relazione parentale solo in parte esperita, poco o niente vissuta al di fuori della gravidanza, e dunque poterla collocare in uno spazio- tempo definito e circostanziato. 

Il lavoro di Valentina, pone ancora una volta l’indice sull’importanza di poter “Agire il lutto”, attraverso il recupero delle pratiche relazionali, dei riti e della memoria collettiva. Questo “agire” permette di oggettivare quella specifica relazione parentale, riconoscendola come propria di quella gravidanza e di quel bambino.

Questo “lavoro” psichico e psicosociale, personale e condiviso, è ritenuto da molti studiosi condizione necessaria per elaborare il lutto e soprattutto per intraprendere nuove gravidanze senza proiettare sul nascituro i fantasmi di un passato sospeso e per questo ancora attuale e attualizzabile. Con un notevole vantaggio in termini di salute psichica e fisica del neonato e della coppia.

Nel ringraziare Valentina per il suo lavoro di ricerca con le mamme speciali di Bologna, vorrei infine sottolineare come sul tema del lutto perinatale stiano convergendo gli interessi di antropologia, sociologia, psicologia, psicoterapia, psichiatria, che si aggiungono ai molteplici interessi che tutti gli artisti e  le arti in generale hanno riservato nei secoli alla figura della madre o della famiglia in lutto. Se discipline diverse tra loro iniziano a riflettere su un tabù sociale così radicato come il lutto perinatale e la vita dopo il lutto, trovando numerosi risultati “comuni” e convergenti, significa probabilmente che siamo sulla buona strada, per trasformare il “divieto” di parola in “Parola che cura”. Possiamo farlo. Sembra proprio che sia arrivato il momento.

 

 

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